1 Maggio 2021: dalla strage di Portella al concertone digitale, come è cambiata la piazza della festa

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Gentile direttore, sospeso nel tempo e nello spazio, “questo Primo Maggio” — come da tradizionale articolo di fondo dell’Unità negli anni che furono — si presenta oggi del tutto smaterializzato, digitale e iper-connesso, quanto basta per meritarsi un pochino di storia.

E dunque si può cominciare ricordando che durante il fascismo anche solo organizzare un banchetto quel giorno poteva costare un anno di confino. Da ex socialista, Mussolini conosceva fin troppo bene il valore rituale di quella festa di utopia proletaria; per cui già nel 1923, astuto tiranno in erba, mise mano al calendario e sostituì quella festa con il Natale di Roma, 21 aprile, estendendolo al Lavoro. E buona notte.

Indimenticabile perciò fu per tanti il Primo Maggio del 1945: «Piazza del Popolo non fu mai così bella come quella mattina di sole» ha ricordato Anita Di Vittorio, allora compagna di Giuseppe, il più gagliardo trascinatore di folle. Tricolori, bandiere rosse e bianche, anche sacre insegne sotto cui sfila la banda della Madonna della Strada.

Ma poi tutto si complica, la Guerra fredda incalza, e il Primo Maggio del 1947, in una Sicilia da pochi giorni a maggioranza socialista e comunista, dalle montagne che circondano Portella della Ginestra le milizie del bandito Salvatore Giuliano cominciano a sparare. Erano le dieci di mattina: «S’intisi scruscio di na sparatina — così i cantastorie — e bummi a mano peggio de li trona»… In tutto sono 11 morti, tra cui donne e bambini. Destinati a rimanere misteriosi i mandanti, come accade in Italia. Togliatti in persona spedisce in Sicilia Luchino Visconti con l’idea di un film sui contadini e la strage (che non si farà: al suo posto Visconti gira “La terra trema” dedicato ai pescatori).

Sennonché le suggestioni cinematografiche della ricorrenza aprono inusitati e potenti scenari. Il Primo Maggio del 1956 i dirigenti cattolici delle Acli di Roma spediscono a Milano un’enorme statua del Cristo lavoratore appesa con un cavo a un elicottero, regalando a Federico Fellini la sequenza con cui qualche anno dopo si apre “La dolce vita” (a bordo Mastroianni e il fotografo Paparazzo).

Sono gli anni della grande immigrazione e poi dello sviluppo industriale. Soprattutto nelle città operaie del Nord, a sinistra la politica s’ammanta di valori, simboli e cerimonie che agli occhi di oggi la rendono simile a una religione. Ancora più evidente il Primo Maggio, quando la piazza è l’assemblea dei fedeli, il comizio una sorta di liturgia della parola, così come il cibo in comune (“pane e lavoro”) richiama la mensa fraterna e i cori (“il riscatto del lavoro/ dei suoi figli oprà sarà”, testo di Filippo Turati) — corrispondono agli inni sacri. Il tutto in attesa dell’inesorabile e salvifico epilogo: il Socialismo.

La ventata del Sessantotto smonta l’orizzonte mitico e destabilizza il paesaggio rituale. Il Primo Maggio del 1978, in pieno caso Moro, con inseparabile pipa, Luciano Lama rassicura da par suo i lavoratori a Torino; sul palco di Roma San Giovanni il capo partigiano Boldrini-Bulow tuona contro la trattativa con le Br; mentre a Milan o, piazza Duomo, gruppi di estremisti attaccano sparuti militanti della Dc e sfasciano un’auto della Rai (la Polizia carica).

Ma il bello della storia resta pur sempre la sua imprevedibilità. Così, superati stancamente gli anni 80 e la sconfitta della scala mobile, su spinta quasi più tecnologica che politica ecco che d’un tratto il Primo Maggio cambia sede, logica, forma, formato, sostanza, contesto, grammatica, tutto; e adattatosi con qualche disinvolta maestria al mondo delle visioni a distanza, nel 1990 si fa suono, festival, intrattenimento: su Rai3.

È da subito “il Concertone”. Per milioni di cittadini-telespettatori l’enorme palco che s’insedia sotto la Basilica di San Giovanni come il segno maestoso di quella trasfigurazione: «La parola è sostituita dalla musica, l’argomentazione dal coinvolgimento emotivo, l’adesione ideologica dalla partecipazione» osserva Edoardo Novelli in “Turbopolitica” (Rizzoli, 2006). È chiaro che il valore originario del Primo Maggio s’annacqua e si disperde nello show: Claudio Bisio intervista Cofferati secondo il modulo delle Iene, cinque-dieci secondi a risposta, il pop e il look spodestano analisi e proposte. Eppure, è un filo prezioso, forse l’unico che ancora tiene insieme la sinistra e i giovani, tanto in piazza che sul divano di casa.

La politica si fa palinsesto e broadcasting, con qualche indispensabile brivido. Nel 1993 Piero Pelù reclamizza l’uso dei preservativi; nel 2002 i Modena City Ramblers eseguono fuori programma “Bella ciao”; qualche anno dopo il comico Andrea Rivera suscita (breve) scandalo per un attacco al Papa; e di nuovo Pelù se la prende stavolta con Renzi chiamandolo “boy scout di Licio Gelli”, ma pazienza. Sembrava anche quello un rito definitivo: e adesso guarda cosa è diventato il Concertone del Primo Maggio, condiviso in pixel, al di là della piazza, dei corpi e del calendario.

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