International Day of Happiness, interviene il Coordinamento Nazionale Docenti della Disciplina dei Diritti Umani

ROMA – Il Coordinamento Nazionale Docenti della Disciplina dei Diritti Umani, in occasione della International Day of Happiness (Giornata Internazionale della Felicità), istituita dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), il 28 giugno 2012, celebrata il 20 marzo, che è incentrata sulla lotta alle disuguaglianze, sullo sviluppo sostenibile e sull’affermazione di una migliore qualità di vita per tutti, intende proporre una serie di riflessioni pervenuteci e maturate in questi ultimi giorni relative a diverse problematiche di attualità che ostacolano fortemente il conseguimento della tanto agognata “felicità” nel mondo.

“Siamo convinti -scrive il prof. Romano Pesavento, presidente Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani- che il “Global strike for future” del 15 marzo potrebbe segnare una data importante circa la consapevolezza collettiva riguardo alle problematiche ambientali; aspetto ancora più incoraggiante è che tale iniziativa coraggiosa sia partita proprio dai giovani, che hanno trovato in Greta Thunberg la loro portavoce. I cambiamenti climatici sono una tragica realtà; possiamo solo sperare che i leader mondiali sappiano accogliere le rivendicazioni degli studenti, i quali erediteranno un pianeta, speriamo, non troppo compromesso molto presto.

Le ultime vicende di cronaca fanno registrare picchi di violenza e intolleranza religiosa inauditi: la Strage di  Christchurch in Nuova Zelanda,  ad opera di Brenton Tarrant, ha causato la morte di 50 musulmani. Il Coordinamento esprime solidarietà per i familiari delle vittime colpite dall’atto criminoso del 15 marzo, auspicando che si possa instaurare quanto prima un clima di maggiore distensione e tolleranza nel mondo.

Ambiente, pace e qualità della vita determinano la percezione che ciascuno di noi elabora riguardo al concetto di “felicità”; proprio per questo non possiamo esimerci dal ricordare ancora una volta le difficoltà di carattere psicologico, economico e logistico di tutti i lavoratori costretti ad abbandonare la loro famiglia per periodi di tempo biblici, ormai, che pesano come ere geologiche sul benessere della persona.

A tal proposito, inoltriamo la testimonianza di due professoresse  Maria Grazia Bonica e Loredana Incorvaia riguardante la propria esperienza di vita a partire dai trasferimenti indotti dall’algoritmo della legge 107/2015: “La centralità del lavoro extradomestico nella vita delle donne, si accompagna da sempre, alla difficoltà di conciliare ruoli esterni e ruoli interni alla famiglia. Mai come in questo momento, ne sono consapevoli le docenti, in esilio, della Buona Scuola. Madri, mogli, figlie di genitori anziani e a volte anche nonne.

Migliaia di lavoratrici, “lanciate” e “sparse” senza criterio alcuno, in un universo “FUORI ORBITA”, ormai dal 2015. Un universo che non appartiene al loro vissuto, ospiti di ambienti, qualche volta ostili. Costretti a vivere in “luoghi estranei” e abitazioni fatiscenti. Un mondo nel quale si ritrovano, loro malgrado, a farsi scorrere la vita addosso, aspettando una “fine pena” che non si sa se e quando arriverà.

Sono le “donne della 107”. Donne, che hanno già percorso un lungo tragitto di vita dove credevano di svolgere il proprio lavoro, accudendo i figli, i nipoti, i mariti, i padri e le madri. Le famiglie che avevano creato. Dove avevano contratto mutui, per far fronte all’acquisto di una casa e dove, supplenza, su supplenza, attendevano il tanto agognato e legittimo “posto”.

Negli stessi anni, l’Unione Europea, così attenta alla condizione sociale della donna nel mondo del lavoro, imponeva agli Stati membri, tra le altre cose, di: “creare le condizioni che potessero consentire all’economia europea di beneficiare pienamente delle potenzialità di cui le donne sono portatrici; garantendo alle stesse, di potersi giovare a loro volta, di un maggior equilibrio tra vita professionale e vita familiare”. Un lungo percorso quello del Patto sociale e del Quarto programma per le pari opportunità, che si “sarebbe” dovuto sviluppare già tra il 2001 e 2005.

Intanto arriva la decisione della Corte di Giustizia Europea, che sembra imporre agli Stati Membri (chiudere le gae, evidentemente) di mettere fine a questa “condizione” di precarietà dei docenti, rimasti supplenti a “vita”, sin dall’ultimo concorso del 1999.

Sembrò in un primo tempo, la giusta ricompensa a tanti anni di sacrifici fatti di giorni , settimane e anni in cui, alzandosi anche alle h 4.00 del mattino si andava per tutta la provincia, scuola per scuola, sostenendo spese e quant’ altro, per raggiungere, ora una sede, ora l’ altra. Ma cosi non è. “Le donne docenti della 107”, madri, figlie e mogli vengono sì, assunte, ma nei posti più disparati di Italia. Dal Centro fino all’estremo Nord. Senza criterio, senza avviso. Solo la certezza dell’incertezza. Una valigia, tutto il loro bagaglio.

La nostra vita da inventare . I figli piccoli, lasciati con la febbre ai nonni. Gli altri, più grandi in lacrime. Altri ancora, che su whatsapp ci tranquillizzano, fingendosi forti più di noi, con un : “penserò che sei al centro commerciale”.  Inizia un turbinio di vite. Un vortice che ha un ‘origine , ma del quale non si vede la fine. Intanto si fanno prestiti, perché’ i soldi non bastano più. “Prestiti per garantirsi il diritto al lavoro”.

Vitto, alloggio, viaggi, mutui. Problemi su problemi e famiglie che tengono duro, mentre altre si sfasciano. Quelle che non possono contare sui nonni, anche loro in stato di bisogno, dilaniate completamente. Nel frattempo, i ricorsi fioccano e mentre i Tribunali accertano, anche attraverso perizie, che l’algoritmo ha sbagliato tutto, nessuno pensa a rimediare

A noi, vengono preferiti quelli dei concorsi successivi. Quello del 2012. Per loro, accantonamenti che altri Tribunali riconosceranno come “illegittimi”: assunzioni sotto casa. Cosi le colleghe di 24 anni prendono le nostre cattedre, mentre le “anziane” tutte, su e giù per il Bel Paese, a salire e scendere dai treni, dagli autobus( gli aerei non ce li possiamo permettere) lontane da famiglie e affetti.

Lontane, “troppo lontane”! Da Licata a Novi Ligure, dalle Eolie a Radicofani, da Palermo a Trento e via dicendo. Qualcuna anche con madre 80 enne al seguito, sballottata in questa girandola di vite che nessun legislatore al mondo, avrebbe dovuto mai permettere.

Come se non bastasse: all’ alba della nuova mobilità, ci viene detto che dobbiamo ancora aspettare tre anni. Mentre si annunciano nuovi concorsi, si pensa ad immettere nuove leve e noi, “anziane sempre più e sempre più stanche” superate ancora una volta da una ingiusta suddivisione tra percentuali risibili, dimenticanze volute, promesse non mantenute.

Dopo tutte queste “impari opportunità” ci saremmo aspettate un rimedio! Un rimedio a cui nessuno ha pensato! Perciò, adesso, ci aspettiamo un miracolo! Una mobilità straordinaria. Una mobilità “legittima” solo per noi, per rimediare alle tante illegittimità perpetrate ai nostri danni. Perché assegnare circa 250 posti (si veda Sicilia) per regione ogni anno, Preg.mi Legislatori, significa farci rientrare solo quando saremo in pensione. Perché dire che di quota cento, nulla sarà dato alla mobilità, significa che noi e le nostre richieste di avvicinamento contiamo meno di niente. Vuol dire che le nostre famiglie e i nostri figli, contano meno di niente.

Perché’ riconoscere che con noi si è commesso un errore e non rimediare, è cosa grave, anzi gravissima. Perché’ eludere la normativa sui trasferimenti , secondo la quale le nuove immissioni si fanno sul residuo e dopo aver soddisfatto i trasferimenti, è cosa incomprensibile. Mentre scriviamo, leggiamo che fioccheranno le immissioni in ruolo. Ci domandiamo se l’Europa sappia che per noi della 107, invece, è stata tutta una finzione.

Da precari, siamo diventati: Precari di ruolo. Un’ ingiustizia immensa e senza precedenti, avvenuta in un paese civile e Stato Membro dell’ UE che avrebbe dovuto attuare e battersi per le “pari opportunità” di tutte le donne, anche di quelle rimaste “fregate da un algoritmo fallace” come quello che determinò lo sconquasso, ai danni delle nostre vite di madri e di mogli lavoratrici.

Non chiediamo la pietà di nessuno -conclude- ma soltanto che vengano applicate le leggi rispettose dei principi costituzionali e civili vigenti. La legge 107/ 15, non ha rispettato né gli uni, né gli altri”.

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