Io e lo straniero / L’esperienza di Raffaella Milandri

di Martina Oddi

SAN BENEDETTO – La vocazione ai diritti umani l’ha sempre accompagnata fin da bambina, e oggi che è una stimata fotografa umanitaria, scrittrice e giornalista ha inaugurato una casa editrice che della sensibilizzazione ai diritti umani fa la sua mission. Raffaella Milandri si racconta, come professionista e come sostenitrice dei suoi popoli indigeni.

Come nasce la tua vocazione per i popoli indigeni?

“Gli indigeni mi incuriosivano dai tempi dei fumetti di Tex e mi emozionavo quando leggevo le disavventure degli indiani. Non appena ho potuto viaggiare mi sono recata dai Navajos, e ho imparato con loro, con la pratica, il loro stile così diverso dal nostro. I popoli indigeni, i nativi americani ma anche gli altri, hanno uno stile di vita, un concetto di società, di umanità e di natura del tutto speciali.

Inoltre dovunque sono hanno problemi con il territorio, perché le loro terre sono ricche di risorse, e a loro tocca il triste destino di essere deportati, allontanati, quando non si arriva ad appiccare il fuoco alle foreste, come avvenuto in Amazzonia.

In realtà c’è una grande contrapposizione tra i popoli indigeni e gli altri, noi, che di solito siamo sull’altro fronte, quello della razzia di petrolio, di diamanti, di legno: tutte risorse sfruttate dai territori indigeni che si trovano a difenderle dallo sfruttamento scellerato. Si pensi che a fine 800 si è concluso l’eldorado, inteso non solo come caccia all’oro, ma anche come sterminio di balene per i corsetti delle donne realizzati con le ossa del prezioso cetaceo. Solo per fare un esempio.

Oggi ci sono ancora sfruttamenti non sense per l’equilibrio della natura e gli indigeni ne sono le vittime, per un discorso di denaro e potere. Oggi chi li crede ignoranti, in via di estinzione, o deboli sbaglia davvero.

Vero è  che davanti al petrolio, la democrazia non esiste più: non solo i pugliesi che difendono gli olivi dalla tap vengono manganellati, la stessa sorte tocca ai Crow e ai Lakota Sioux che lottano per difendere il loro territorio da un oleodotto. Negli USA lo scenario è quello di un Trump che ha esercitato grosse pressioni a dicembre con l’intenzione di rilasciare il permesso per trivellare le riserve in Alaska. Per fortuna congresso lo ha bloccato, votando no”.

Come ci si apre al diverso, allo straniero, anche dal punto di vista emotivo e psicologico?

“Punto di partenza è accettare di aver dei limiti e che solo imparando dagli altri si va oltre: la crescita personale è accettazione, osservazione e ascolto dell’altro. Quando accetti il diverso ricevi spesso una lezione di vita. A me, quando incontro qualcheduno con un’altra idea – non se è solo veleno, ovviamente – o di un’altra cultura, piace ascoltare”.

I Popoli indigeni sono difficili da approcciare, hai avuto dei momenti difficili?

“Loro hanno molte meno armature di noi dal punto di vista sociale e personale, ma serve umiltà. Chi va pensando che loro sono inferiori perché non vivono in mega loft ma in una capanna sbaglia di grosso. Con loro non ho avuto problemi. A parte essere arrivata in un momento in cui tra i due popoli – un tempo nemici e poi uniti dalla difesa della loro terra – c’era del dissidio. Ma solitamente i Crow e i Lakota Sioux oggi vivono in armonia. C’era un po’ di tensione e io, che sono stata adottata dai Crow, non l’ho potuto nemmeno dire”.

Dopo l’uscita de Gli ultimi guerrieri, che sarà presentato Venerdi 4 ottobre alla sala consiliare del comune di San Benedetto alle 18, in replica ad Ascoli il 12 ottobre alle 18 la sala dei Savi presso Palazzo dei Capitani a piazza Del Popolo, quale la prossima fatica letteraria?

“Per ora sto prendendo una pausa, dopo l’uscita de Gli ultimi guerrieri, che ho voluto rendere volano della nuova casa editrice Mauna Kea, appena inaugurata, mi sto dedicando anche alla selezione dei manoscritti da pubblicare”.

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