La Befana vista dal filosofo e scrittore Antonio De Signoribus

SAN BENEDETTO – La Befana è una vecchia brutta, rugosa, carica di anni,ma dispensatrice di doni; a cavallo di una scopa, scende con il suo grosso sacco, attraverso i camini richiamata dal desiderio dei bambini e dalle loro attese. Il camino in questo orizzonte, è apertura verso l’alto, verso il trascendente; alla sua catena possono essere appoggiate le anime, da esso può irrompere, nell’ambito domestico e protetto della casa, questa figura misteriosa e familiare, portatrice di doni (oltre che di castighi… scherzosi), non di inquietudini e mali.

E la notte della Befana, tra il 5 e il 6 gennaio, richiama un tempo straordinario, un tempo in cui possono accadere prodigi che lasciano con il fiato sospeso. Notte magica, quindi, notte miracolosa. E il carbone? Assolve ad una simbologia fondamentale: in quanto immagine del peccato, che annerisce l’anima. Dalla quantità reperita nella sua calza il bambino estrae anche il metro del suo comportamento, ma anche in tempi più severi,e lontani dai nostri, il discorso rimane puramente teorico.

Ma la Befana non è, comunque, una santa ma un mito, una storpiatura lessicale della parola greca Epifania. La sua origine, però, si perde nella notte dei tempi tanto che anche nella antichissima Ascoli esiste ancora, nel centro storico, una rua (strada) della Befana. E anche se la Befana oggi è cambiata e arriva in cordata dalla torre civica, o in ascensore, o in elicottero, o in vespa, o in una fiammante Ferrari rossa, o fa sfilate con la scopa più grande del mondo e stupisce con la sua originalità, in qualche caso anche un po’ forzata, il suo fascino resiste ancora nel tempo, nel nostro inquieto e difficile tempo, sempre più avaro di sogni, di fantasie e di mistero.

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