La musica, la mia vita: a tu per tu con il maestro Andrea Concetti

di Alceo Lucidi

SAN BENEDETTO – Andrea Concetti è un baritono e basso cantabile che nell’arco della sua ultraventennale carriera è arrivato a calcare i palchi dei più importanti teatri lirici mondiali. Lo incontro a casa di un cugino a Grottammare – città in cui è nato e dove torna appena può – per ritrovare parenti ed amici. Viene da una delle famiglie più in vista del luogo, i Concetti e, nonostante i genitori non fossero proprio dei musicisti, si è appassionato al canto prestissimo (amava esibirsi e dare sfoggio della propria voce in famiglia sin da bambino ritto sul tavolo).

Il suo repertorio spazia molto, anche se tiene fermi alcuni capisaldi ai quali i M° Concetti, nutrito di buone letture, persona sensibile e cordiale, sente di dovere tornare: il Don Alfonso del Così fan tutte di Mozart (che fra l’altro diede impulso alla carriera dell’artista quando fu chiamato dal M° Claudio Abbado ad interpretarlo a Ferrara). Poi Papageno (a Macerata e al Festival di Edimburgo sempre con Abbado nel 2006) nel Flauto magico, ed ancora il Leporello del Don Giovanni (Berlino, Helsinky, Ancona, La Coruña), il Figaro delle Nozze di Figaro (Théâtre des Champs Elisée di Parigi nel 2006). Anche se – asserisce Concetti – la più grande sfida resta «aver cantato Seneca nell’Incoronazione di Poppea dopo una carriera fatta solo di ruoli buffi e aver debuttato con grande successo nel ruolo di Mosé nel Mosé in Egitto di Rossini». Ad ogni modo, Andrea Concetti non si è fatto mancare nulla e si è esibito – oltre a quelli già ricordati – un po’ in tutti i templi sacri della lirica: “Alla Scala” di Milano, “Staatsoper unter den Linden” di Berlino, Festival di Salisburgo, “San Carlo” di Napoli, “Sferisterio” di Macerata.

Lasciamo la parola al Maestro perché rievochi alcuni tratti salienti del suo avvincente percorso artistico, anche alla luce dell’ultima performance casaling del 25 agosto di quest’anno, al Teatro delle Energie, per la quattordicesima edizione del Festival Listz, prestigiosa rassegna musicale che ogni anno si svolge nel vecchio incasato di Grottammare e a cui partecipano musicisti di livello internazionale.

Alceo Lucidi: I tuoi primi passi nel campo della musica classica si legano inestricabilmente al coro della tua città, Grottammare. La “Sisto V”  è una importante realtà che da lungo tempo – precisamente dal 1980 – rappresenta un punto di riferimento per l’intero territorio piceno, impegnata tanto nella riscoperta della musica sacra quanto in quella dei compositori locali (mi viene da pensare allo stesso M° Luigi Petrucci che ne è stato direttore dalla nascita fino al 2015). Quali ricordi ti legano a quel periodo?

Andrea Concetti: Veramente tanti. Ero molto giovane – appena un adolescente – e la corale rappresentò il mio primo contatto con la musica polifonica a tre o quattro voci. Ricordo lo stupore e l’entusiasmo di fronte alla scoperta della musica, tutto un mondo di sensazioni che si schiudeva per la prima volta nella mia vita. Fu come lo scoccare di una scintilla. Dalla grande polifonia, quindi, fino a ripercorrere il patrimonio folklorico marchigiano ed anche abruzzese, impostato sempre secondo un rigoroso canone armonico. Conseguenza dell’azione di Don Piergiorgio Vitali – il primo direttore del coro – che, tra l’altro, mi spinse a fare l’esame di ammissione al conservatorio visto che la mia voce andava proprio in quel momento formandosi. Figurarsi cosa poteva rappresentare per me il conservatorio, provenendo da una famiglia di commercianti dove la musica classica passava molto poco. Feci quell’esame – ricordo ancora – convinto di non farcela. Finii per vincerlo. Fu un bel colpo, in controtendenza con gli studi superiori in ragioniera che avevo intrapreso e che non mi entusiasmavano affatto. Il punto di svolta era arrivato.

Alceo Lucidi: Da palcoscenico piceno – anche se la corale si è esibita sia in Italia che all’estero – a trampolino di lancio della tua carriera internazionale sulla scorta di una prematura vocazione. Quanto l’ambiente grottammarese ha influito sulla tua formazione e quanto devi agli insegnamenti ricevuti al conservatorio “Rossini” di Pesaro e a maestri come Sesto Bruscantini Mietta Sighele, Allan Billard, Gustav Kuhn?

 

Andrea Concetti: A parte i maestri del conservatorio, con i quali ho avuto esperienze fruttuose, il mio primo contatto con un grosso personaggio della lirica l’ho avuto frequentando il M° Bruscantini che viveva a Civitanova Marche. Bruscantini è stato talmente grande che, se potessi, tornerei indietro, ancora e soprattutto oggi in età matura, per chiedergli dei consigli. Poi, sicuramente, la Sighele, che coordinava il concorso presso il Teatro di Spoleto per giovani cantanti lirici in vista del debutto teatrale. Tappa fondamentale.

Ad ogni modo penso che sia importante, accanto all’opera di formazione di grandi maestri, costruirsi un proprio percorso di ricerca e affinamento delle capacità vocali. A distanza di 25 anni dal mio debutto, continuo ancora a studiare e a confrontarmi con altri colleghi sul perfezionamento delle note senza sentirmi arrivato. La carriera di un cantante lirico è un punto di partenza e mai un punto di arrivo. La coltivazione della voce è una sorta di ossessione. Si procede per sensazioni. La voce è uno strumento che si ha su se stessi e va, non solo educata, ma protetta al meglio.

Alceo Lucidi: Come caratterizzeresti la tua voce e in quali ruoli ti senti di esprimere maggiormente le tue qualità di cantante?

Andrea Concetti: Per i miei primi 20 anni il mio repertorio è stato prevalentemente mozartiano. Crescendo la voce evolve e matura. Giocoforza, mi sono dirottato verso delle composizioni più liriche. Da Leporello, Don Alfonso, Figaro, sono passato al Seneca dell’Incoronazione di Poppea e all’Oroveso della Norma. Mi posso definire un basso cantabile, lirico – o basso baritòn seconda una corretta definizione – piuttosto che un basso profondo, ossia una via di mezzo tra il basso e il baritono.

Alceo Lucidi: L’incontro con il maestro Claudio Abbado. Ci parli più diffusamente di questo immenso direttore d’orchestra e di cosa di è nutrito il vostro soldalizio?

Andrea Concetti: Il maestro Claudio Abbado mi ha letteralmente lanciato nella carriera internazionale. Stiamo parlando di un’icona della musica lirica, veramente un gigante. Capitò che nel 1999 mi fossi trovato a Ferrara a fare il cover per una produzione molto importante, un Falstaff diretto da Abbado e con protagonista il grande Ruggero Raimondi. Insomma, io ero tra quelli che dovevano sostituire i solisti in caso non fossero potuti intervenire alle prove. Successe che, in una delle ultime prove d’orchestra, il M° Raimondi si fosse dichiarato indisposto a cantare per via della stanchezza. Per farla breve, mi ritrovai al suo posto a debuttare con la straordinaria Mahler Chamber Orchestra e la conduzione di Abbado.

Trovarmi dopo la messinscena a tu per tu con il grande maestro, nel suo camerino, dopo essermi esibito, che mi faceva complimenti, è stato per me motivo di grande soddisfazione. Mi propose allora un piccolo ruolo che accettai con entusiasmo: il Pietro del Simon Boccanegra di Verdi. Lo portai in giro per quattro anni ma lo feci con i Berliner prima a Berlino e poi a Salisburgo. Da lì la collaborazione si rafforzò. Feci con Abbado anche il Don Alfonso nelle Nozze di Figaro e Papageno del Flauto Magico di Mozart al Festival di Edimburgo. Il maestro morì di lì a poco, nel 2013, dopo avere diretto il Fidelio di Beethoven. Abbado ha avuto un approccio politico e sociale con la musica, veicolandone sempre ben precisi messaggi. Portò la musica classica, senza mai svilirla, ad auditori vasti e compositi.

Alceo Lucidi: C’è un ruolo che manca dal tuo repertorio e al quale aspiri? Qualcosa che fuoriesca magari dallo stile belcantistico e dalle commedie?

Andrea Concetti: Ce se sono alcuni, come il conte Rodolfo della Sonnanbula o I puritani di Bellini od anche il Don Quichotte di Massenet. Insomma qualche ruolo che fuoriesca dal lirico per entrare nel territorio del belcanto. In passato, a dire il vero, mi sono cimentato con la produzione di Rossini, essendo stato al Rossini Opera Festival per bene due volte con il Turco in Italia nel 2007 e Il Sigismondo nel 2010 per la regia di Damiano Micheletto. Ne porta ancora un bellissimo ricordo.

Alceo Lucidi: Un aspetto che viene spesso messo a parte nella costruzione di un’opera lirica è i testo letterario – meglio noto come libretto – per la capacità degli scrittori di rendere o stile il più possibile prossimo ad una piena fruibilità musicale. Da lettore curioso, come vedi il ridimensionamento della costrutto testuale rispetto alle estrinsecazione melodiche e ritmiche?

Andrea Concetti: È vero solo in parte, nel senso che, se si prendono dei libretti di Da Ponte – la famosa trilogia – rispetto alla musica di Mozart, si scopre una incredibile teatralità del testo, in cui vi è una perfetta aderenza tra parola e musica, tanto il verso è essenziale, scorrevole, godibile.

Già in Boito le cose stanno diversamente. Nonostante i suoi siano dei capolavori – si veda l’Otello – non sempre un libretto ricco di termini ridondanti ed aulici soccorre il cantante, mentre la stessa ricercatezza e ridondanza ha un effetto diverso nel Falstaff – l’opera verdiana, l’ultima, sul tempo che passa e sullo sguardo disilluso verso la vita – perché lì, al netto di ogni trasporto sentimentale, il testo con la sua artificiosità ed enfasi retorica crea un distacco con l’opera tale che si è portati a guardala dal di fuori.

Alceo Lucidi: Come si vede Andrea Concetti di qui ai prossimi anni e quali i suoi futuri impegni?

Andrea Concetti: Sono in partenza per Liegi per interpretare la Norma di Bellini dopo averla fatta a Tenerife. Poi andrò a Bergamo al festival Donizetti a vestire i panni de protagonista nel Borgomastro. Canterò anche il requiem di Donizetti. A Novara per la ripresa del Don Giovanni di Spoleto della scorsa estate e, per finire, tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, al “Carlo Felice” di Genova, una prima assoluta, ovvero Miseria e nobiltà di Marco Tutino (un progetto che mi incuriosisce e mi stimola molto). Sarà faticoso perché non si hanno riferimenti, ma è una sfida e come tale va colta.

Per quanto riguarda il mio futuro non penso di invecchiare sul palcoscenico, anche perché sono una persona che sta molto bene a casa. Il mio è lavoro impegnativo, come tanti altri, non lo posso nascondere. È una vita di studi, di continui trasferimenti, di tensione emotiva (con il pensiero sulla tenuta e sulla resa della voce). In questo mestiere devi pensare a tante cose, anche le più minute: la preparazione delle voce, appunto, e la cura del suono, l’uscita di fronte al pubblico, lo stress da prestazione, l’organizzazione degli impegni.

Con la memoria riesco a cavarmela bene. Ce la faccio perché i testi sono accompagnati dalla musica. Diciamo che le melodia mi aiuta a ripercorrere i libretti e a fissarli meglio, nonostante il lavoro preesistente di memorizzazione. In sintesi, è un lavoro affascinante, certo con le sue criticità, ed io continuo ancora a sentirmi un privilegiato.

Foto tratta da Google (geocities.ws)

 

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