Lettera al Direttore / Non lasciatevi ingannare dalle immagini

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Egregio direttore, avendo studiato per molto tempo storia dell’iconografia per ragioni professionali, mi permetto, modestamente di consigliare il libro di Riccardo Falcinelli. Il quale, svela i meccanismi che si nascondono dietro le figure che vediamo e che diventano pop analizzando capolavori dell’arte e fotogrammi di film di culto.

Delle immagini ciò che è più difficile è vederle. Vale quasi per tutto ma con loro, le immagini, vale specialmente. Non possiamo che vederle, si intende, però non sappiamo farlo davvero, altrimenti non riterremmo tanto arguta la trovata di René Magritte, che sotto la figura della pipa ha scritto che quella non era mica una pipa. Reagiremmo con sarcasmo: «Bella scoperta!».

Invece piuttosto che un’ovvietà ci sembra un paradosso e se ciò può succedere è perché dell’immagine ci sfugge, quasi sempre, quasi tutto quello che non è il suo soggetto. «Fallimur imagine», già diceva un’impresa cinquecentesca: siamo ingannati dall’immagine. A noi piace così. Siamo bambini viziati che vogliono “le cose”: ci andiamo matti, per “le cose”, e quando ne troviamo una che ci piace tanto diciamo – come cretini – che è “iconica”. Nelle immagini cerchiamo le “cose”, nelle “cose” cerchiamo l’immagine.

A questa nostra ridicola condizione Riccardo Falcinelli non alluderebbe mai (non è certo il suo stile di scrittore tanto appassionato quanto, nei modi, distaccato e, verso il suo uditorio, cortesissimo). Però, bontà sua, vorrebbe al possibile emendarcene e, tanto per non perpetuare l’equivoco, nel suo nuovo libro intitolato Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram (Einaudi Stile Libero, pagg. 519, euro 24) non cita Magritte e non usa che una volta e per caso l’aggettivo “iconico”.

Del resto lui non predica, né teorizza: racconta, spiega, mostra. Procede per aneddoti e altre “figure di discorso” (si chiamano proprio così): quella volta che la suora vide la Madonna al centro del giardino; quando i Lumière ripresero una cordata di scalatori nella neve; quando Piet Mondrian abrogò le diagonali; quando l’etologo Desmond Morris diede carta e pennelli allo scimpanzé Congo i cui disegni ebbero poi acquirenti, fra cui si dice Picasso; quando in Psycho Alfred Hitchcock mise un’applique accesa alle spalle dell’(spoiler!) assassina/assassino.

Confortato dal meritato applauso di vaste platee, Falcinelli rende ogni libro più ambizioso. Con quelli sul visual design (nel 2014) e sul colore (nel 2017) ha progressivamente reso più generali i suoi temi e perfezionato il suo genere dissertativo, con un dialogo stretto fra testo e apparato iconografico e un gusto narrativo per il dettaglio illuminante.

Quest’ultimo Figure non solo non ha quasi pagina che non contenga un’illustrazione (se non due, tre, quattro, cinque…), non solo è stato impaginato dall’autore, ma è un libro che è stato scritto nell’impaginarlo, in modo che risultasse perfetta la corrispondenza fra una Madonna raffaellesca, l’Onda di Hokusai e il testo che li mette a confronto. E ogni corrispondenza vi è, se non perfetta, certo calcolata.

Titolare di un avviatissimo studio di progettazione grafica, attivo soprattutto in campo editoriale, e docente di Psicologia della percezione (Isia, Roma), Falcinelli è favorito da una invidiabile chiarezza di scrittura e da una memoria non comune, utile ad amministrare il bottino delle sue minuziose esplorazioni di biblioteche, musei, media, paesaggi reali e virtuali.

È un divagatore meticoloso, svaria con metodo. Per scrivere disegna ampie partizioni della materia (in Figure sono: Spazio, Forme, Percezione, Meccanismi, Topologia, Composizione, Medium). Poi avvia il suo tragitto. Spazio: in Occidente il centro gode sulla periferia di un prestigio che però è stato consacrato solo con la scoperta di «un sistema di regole grafiche che permette di suggerire l’effetto della terza dimensione su una superficie bidimensionale in modo analogo a quanto accade con la visione diretta». Cioè, la prospettiva.

Cinque righe strette fra una riproduzione della Città ideale di fine Quattrocento e la fotografia di una strada che si perde nel deserto dell’Arizona offrono una definizione A sinistra, Ilya Yefimovich Repin: Ritratto dello scrittore Garšin. Sopra La Città ideale e Shining di Stanley Kubrick. Sotto, i dipinti di Poussin e Van Gogh postati su Instagram, puntuale ma disinvolta di cos’è la prospettiva e la discreta allusione al fatto che fra la visione diretta e la riproduzione prospettica c’è analogia: si tratta cioè di una costruzione culturale. Quando la pensiamo diversamente è perché fallimur imagine, siamo ingannati dall’immagine.

Piatte (come nei libri, nei giornali, nelle pinacoteche, nei monitor dei nostri device), rettangolari, dimensionate preferibilmente in proporzione 4:3; in orizzontale, se paesaggi (o nudi sdraiati), in verticale, se ritratti; isolate, se icone religiose; affiancate, se considerate come opere d’arte… Chi ha deciso che le immagini siano proprio così? Perché oggi non capiamo appieno la bellezza di Greta Garbo a meno che non ci capiti di vederla al cinema? E cosa intendeva Elsa Morante quando, entrando nello studio di Lalla Romano e notando una parete tappezzata di ritagli e figure, ha esclamato «Ah! Il paradiso»?

Sulle immagini, e sulle parole che le affiancano, Falcinelli lavora tutti i giorni. Con l’esperienza pratica e con lo studio – manipolando, riflettendo, insegnando e operando – si è fatto un’idea di come ognuna possa o almeno cerchi di aver senso. A scrivere i suoi libri certo fatica ma si diverte, anche. Incanala un flusso abbondante di immagini – quadri, fotografie, fotogrammi, diagrammi, schermate, vignette – e ci mostra non solo le loro modalità di funzionamento ma il fatto stesso che lo abbiano, un funzionamento.

A tratti mi ricorda un botanico che faccia visitare la sua serra a un pubblico convinto che i vegetali siano privi di vita come minerali. Infatti Figure è un libro ricco come un giardino botanico in cui ogni pianta è stata scelta, collocata, fornita di precisa etichetta. 520 pagine (con ampia bibliografia e iconografia), 501 figure e innumerevoli sollecitazioni rivolte al nostro sguardo mentale.

Ne scelgo, infine, una per tutte: sempre cercare almeno un po’ di astratto nel figurativo. Per sperare di essere un po’ meno ingannati, se non (ma questo lo dico io, il compassato e cortesissimo Falcinelli non lo farebbe mai e probabilmente neppure lo pensa) un po’ meno cretini.

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