Lettere al Direttore / Asili nido, un servizio da potenziare sui territori

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Negli ultimi anni, sulla scorta degli obiettivi nazionali ed europei in materia, l’offerta di asili nido e di servizi per la prima infanzia è in parte cresciuta nel nostro paese. Nel 2013 erano 22,5 i posti a disposizione in queste strutture ogni 100 bambini con meno di 3 anni. In base ai dati più recenti, relativi all’anno educativo 2018/19, sono arrivati a 25,5 ogni 100 minori.

Una crescita non trascurabile, che nel periodo 2016-18 è stata pari a 1,5 punti, ma che risulta ancora troppo lenta. In primo luogo, rispetto agli obiettivi nazionali ed europei. Nel consiglio europeo di Barcellona (2002) fu infatti fissato come target per gli stati Ue di raggiungere i 33 posti ogni 100 bambini, sfida poi recepita anche nella normativa nazionale.

Lo Stato promuove (…) il progressivo consolidamento, ampliamento, nonché l’accessibilità dei servizi educativi per l’infanzia, anche attraverso un loro riequilibrio territoriale, con l’obiettivo tendenziale di raggiungere almeno il 33 per cento di copertura della popolazione sotto i tre anni di età a livello nazionale

Dlgs. 65/2017, art. 4

È necessario un investimento sui primi 1.000 giorni di vita dei bambini.Questo obiettivo è molto meno noto rispetto ad altri parametri che quotidianamente dominano il dibattito pubblico. Eppure si tratta di una sfida centrale per il nostro sistema educativo. È ormai acquisito nella letteratura come i primi 1.000 giorni di vita del bambino siano quelli più determinanti per il suo sviluppo successivo.

È a partire da questa fase, in cui i bambini sono così ricettivi, che va garantito a tutti – a prescindere dalle condizioni della famiglia – un ambiente di crescita quanto più favorevole possibile. Vanno in questa direzione le ricerche sulla genetica, che hanno evidenziato l’influenza ambientale sul funzionamento dei geni. E ancora di più le neuroscienze, che hanno fatto emergere il ruolo dei fattori ambientali sullo sviluppo delle reti neurali del bambino. Specie nei primi anni di vita, in cui questa formazione procede ad una velocità che non raggiungerà mai più negli anni successivi.

È sulla base di queste evidenze che gli standard internazionali fissati da Unicef pongono in primo piano la cura della prima infanzia, per le sue conseguenze di lungo periodo. Nell’interesse del singolo bambino, ovviamente, ma anche per l’intera società. A dicembre dello scorso anno, l’Alleanza per l’infanzia in collaborazione con la rete #educAzioni ha ribadito le ragioni per cui i primi anni di vita devono essere centrali nella definizione delle politiche pubbliche. Un percorso su cui il lavoro da fare è ancora molto.

Se nella fascia tra i 3 anni e la scuola dell’obbligo (quella che nel nostro paese è coperta dalle scuole dell’infanzia) l’Italia è tra i paesi Ue con il maggior sviluppo del servizionella cura dei primi 1.000 giorni siamo ancora lontani dal garantire un’offerta adeguata. In primo luogo rispetto all’obiettivo fissato in sede Ue. Con una copertura complessiva del 25,5%, sono circa 100mila i posti che mancano per raggiungere questo target.

100.000 i posti che mancano a livello nazionale per raggiungere l’obiettivo europeo del 33%. E il parametro europeo, essendo calcolato su tutti i posti disponibili sul territorio nazionale (pubblici e privati, comprendendo sia nidi che i servizi integrativi) appare probabilmente sottostimato rispetto al bisogno effettivo. L’alleanza per l’infanzia ha infatti evidenziato la necessità di un aumento di quasi 300mila posti per raggiungere una copertura pari ad almeno il 33% attraverso asili nido pubblici.

Next generation Eu: risorse per ridurre le distanze tra i territori. Gli asili nido rappresentano un investimento sulle prossime generazioni.

Alla luce di questi dati, è necessario aprire una riflessione. Nei prossimi anni il nostro paese sarà chiamato a programmare e gestire risorse nell’ambito dell’iniziativa europea Next Generation Eu. Tali fondi, che per il nostro paese valgono circa 200 miliardi di euro di cui più della metà da prestiti, non sono pensati solo per uscire dall’emergenza attuale.

Come lascia intendere il nome stesso dello strumento, servono per investire sul futuro delle prossime generazioni, che oggi appare compromesso dalla crisi. In questo quadro, sarebbe un enorme spreco penalizzare un settore come quello della cura ed educazione per la prima infanzia che, come vedremo, è strategico per il contrasto della povertà educativa e per il futuro del paese.

Il primo obiettivo, correttamente messo a fuoco dal piano nazionale di ripresa e resilienza, è ovviamente portare il nostro paese al di sopra della soglia del 33% stabilita nel consiglio europeo di Barcellona quasi venti anni fa.

L’obiettivo dell’investimento è superare il target fissato dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002, relativo al raggiungimento di un’offerta minima al 33% per i servizi per la prima infanzia, entro il 2026.

Raggiungere il 33% nazionale non basta: il potenziamento deve servire anche ridurre i divari tra i territori.

Ma è dalla modalità con cui la soglia del 33% verrà raggiunta che dipenderà l’effettivo successo nell’utilizzo di queste risorse. Come approfondiremo nel corso del report, vi sono profonde distanze tra i territori nella diffusione di asili nido e servizi prima infanzia. Bastano pochi, macroscopici dati per inquadrare il fenomeno. A fronte di un centro-nord che ha quasi raggiunto l’obiettivo di Barcellona (32%) e dove in media 2/3 dei comuni offrono il servizio, nel mezzogiorno i posti ogni 100 bambini sono solo 13,5, e il servizio è garantito in meno della metà dei comuni (47,6%).

E questa è solo la disparità più macroscopica: scopo di questo report, come di tutto il lavoro dell’osservatorio povertà educativa in questi anni, sarà proprio andare a monitorare l’offerta effettiva sul territorio, molto diversa dalle medie nazionali e regionali. Persino nelle regioni in media più servite si trovano zone maggiormente carenti, che spesso coincidono con le aree interne più lontane dai centri maggiori.

L’obiettivo del 33% deve perciò essere calato in questi divari, per ridurli. Se questo target verrà raggiunto potenziando solamente le aree del paese già più “infrastrutturate” significa che le risorse europee, nonostante il conseguimento dell’obiettivo nazionale, non saranno servite per abbattere le distanze esistenti. Un esito che sarebbe in aperta contraddizione con l’obiettivo di riequilibrio territoriale indicato dal decreto 65/2017. Ma anche con le stesse premesse del piano italiano di ripresa e resilienza. Documento che, da un lato, stabilisce esplicitamente come obiettivo quello di “aumentare l’offerta di asili nido e servizi per l’infanzia e favorirne una distribuzione equilibrata sul territorio nazionale”. Dall’altro indica il potenziamento dei servizi prima infanzia come uno degli interventi per sostenere l’occupazione e l’imprenditorialità femminile.

È infatti enorme il contributo che lo sviluppo del servizio può offrire nella riduzione dei divari di genere: una questione che incrocia disuguaglianze sociali e territoriali profonde. Le regioni del mezzogiorno, economicamente più fragili, sono sia quelle dove l’occupazione femminile è più bassa che quelle dove l’estensione dei servizi prima infanzia è inferiore.

La campagna di consultazione sulle linee guida per lo 0-6 è un’occasione unica per riportare il tema al centro della discussione pubblica.

La necessità di superare tale ritardo è stata acquisita nella strategia del piano nazionale di ripresa e resilienza, e nella gestione delle risorse sarà fondamentale essere conseguenti con tale impegno. Un investimento forte sulla prima infanzia può infatti aiutare a colmare tanti divari diversi: educativi, di genere, territoriali, socio-economici. Per questo il potenziamento del sistema integrato 0-6 anni, e in particolare per la fascia 0-3, deve essere considerato una priorità nazionaleVa in questa direzione la campagna di consultazione avviata a fine marzo sulle linee pedagogiche per il sistema integrato 0-6. Il confronto sulle linee guida elaborate dalla commissione nazionale, che coinvolgerà nei prossimi mesi i diversi stakeholder, educatori, genitori, gestori dei servizi, istituzioni, deve essere l’occasione per riportare il tema al centro del dibattito pubblico.

Un servizio non solo sociale, ma educativo

È stata riconosciuta la funzione educativa, ma la copertura ancora non basta.

Un altro aspetto da sottolineare è che lo sviluppo attuale del servizio – nonostante i miglioramenti – appare ancora inadeguato rispetto allo spirito e alle scelte operate dal decreto legislativo 65/2017. Istituendo il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, di cui asili nido e servizi per la prima infanzia costituiscono uno dei pilastri, il decreto legislativo ha riconosciuto definitivamente la natura educativa del servizio. Ma se nella pratica la copertura potenziale arriva a un bambino su 4, siamo ancora lontani da poterlo qualificare come pienamente educativo.

Quasi cinquant’anni fa, nel dicembre 1971, entrava in vigore la legge 1044/1971, avente come obiettivo “l’istituzione di asili nido comunali con il concorso dello stato”. Per la prima volta, dopo le prime esperienze e sperimentazioni a livello locale, gli asili nido diventavano a pieno titolo un servizio di interesse pubblico, il cui sviluppo doveva essere promosso dallo stato.

50 anni dalla prima legge sugli asili nido. Da allora è cambiata la concezione del servizio: da assistenziale a educativo.

L’approvazione di questa legge fu un passo avanti fondamentale per il nostro paese. Ma rispetto ad allora, ovviamente, molte cose sono cambiate. Per decenni, al netto di alcune esperienze pionieristiche (su tutte quella del Reggio Emilia approach, sviluppato tra gli anni ’60 e ’70 e centrato sulla crescita e sulle potenzialità del bambino), a livello nazionale lo sviluppo degli asili nido è stato considerato un obiettivo socio-assistenziale. Senza una attenzione specifica al ruolo educativo dei nidi.

Gli asili-nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare una adeguata assistenza alla famiglia e anche per facilitare l’accesso della donna al lavoro nel quadro di un completo sistema di sicurezza sociale.

Legge 1044/1971, art. 1 

Persino gli stessi obiettivi di Barcellona, formulati agli inizi degli anni 2000, risentono ancora di questa impostazione. Lo sviluppo dei servizi prima infanzia veniva considerato non come un fine in sé, ma come lo strumento per promuovere l’occupazione femminile.

Gli Stati membri dovrebbero rimuovere i disincentivi alla partecipazione femminile alla forza lavoro e sforzarsi, tenuto conto della domanda di strutture per la custodia dei bambini e conformemente ai modelli nazionali di offerta di cure, per fornire, entro il 2010, un’assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico e per almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai 3 anni.

– Consiglio europeo di Barcellona, 15-16 marzo 2002, Conclusioni della Presidenza

Le basi gettate nei primi anni di vita condizioneranno tutto il percorso successivo. Negli ultimi anni, tuttavia, si è affermato anche a livello normativo quanto già emerso nella letteratura scientifica. Gli asili nido, e in generale i servizi per la prima infanzia, rivestono un ruolo chiave nello sviluppo del minore.

Il motivo è che le esperienze vissute dai bambini nei primi anni di vita sono cruciali. Pongono le basi per tutto ciò che il bambino apprenderà negli anni successivi, non solo in ambito strettamente scolastico, ma anche nelle relazioni sociali e nello sviluppo della propria personalità. Ne consegue che aver potuto frequentare, prima dei 3 anni, un ambiente educativo che offre questo tipo di stimoli e esperienze sarà determinante sulle prospettive future del minore.

Per questa ragione estendere l’offerta del servizio, garantendone l’accesso a tutti i bambini – a prescindere dal reddito familiare – è il primo passo nel contrasto della povertà educativa.

I limiti attuali allo sviluppo del servizio

Oggi, nonostante il positivo cambio di mentalità ormai entrato anche nella normativa, per una serie di fattori il sistema di assistenza alla prima infanzia non è nelle condizioni di assolvere a queste funzioni sull’intero territorio nazionale. Una delle ragioni principali è che il servizio non è ancora diffuso in modo territorialmente omogeneo.

Osservando la mappa, emergono due spaccature nell’offerta di servizi prima infanzia. La prima, e più evidente, è quella tra un centro-nord dove il servizio appare più capillare e un Centrosud e mezzogiorno dove risulta molto meno presente.

18,5 i punti di divario tra centro-nord (32%) Centrosud e mezzogiorno (13,5%) nella copertura di nidi e servizi prima infanzia.

Le aree del paese dove la copertura potenziale è più elevata sono spesso quelle dove il servizio si è affermato storicamente prima. Tutte le province emiliane e romagnole (tranne Piacenza, che è comunque al 25,8%), superano i 33 posti ogni residenti tra 0 e 2 anni. In Toscana 6 province superano la soglia del 33%, una (Arezzo, 32,7%) l’ha praticamente raggiunta e le altre 3 sono poco sotto, con dati superiori al 29%.

Parallelamente, permane un forte ritardo del mezzogiorno, dove sono concentrate quasi tutte le province con meno di 20 posti ogni 100 bambini. Inoltre sono tutte meridionali le 8 province che non raggiungono un posto ogni 10 bambini residenti: Trapani (9,7%), Napoli (8,9%), Ragusa (8,7%), Catania (8,1%), Palermo (8%), Cosenza (7,7%), Caserta (6,6%), Caltanissetta (6,2%).

L’altra frattura è quella tra i maggiori centri urbani, dove il servizio è più diffuso (anche se soggetto a una pressione maggiore, data la maggiore ampiezza dell’utenza potenziale) e i comuni delle aree interne, dove la domanda debole e dispersa ha storicamente limitato lo sviluppo di una rete di servizi.

Posti autorizzati per 100 bambini di 0-2 anni (2018) tasso occupazione femminile 25-34 anni (2019). Valle d’Aosta, Umbria Emilia, Romagna, Toscana, Friuli, Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Lazio, Liguria, Lombardia, Sardegna, Veneto, Marche, Piemonte, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria Sicilia, Campania.

Dovremo chiederci perché la Francia investe sui bimbi 8 volte più dell’Italia e la Svezia addirittura 13 volte. È una considerazione amara quella che sto facendo? Sìììììì! Purtroppo è così.

Ridurre le distanze tra Roma e Parigi, Berlino, Londra. Superare le arretratezze e le disuguaglianze che appesantiscono l’Italia. Gettare le fondamenta per costruire il Paese della “Prossima generazione”. Come operatori dei diritti dei minori e degli adolescenti non possiamo smettere di fare il proprio dovere.

Dobbiamo pensare e proporre, poiché il gap con gli altri Paesi europei si è allargato in tutti i settori e il Covid c’entra tanto. Questo divario non riguarda soltanto l’economia, gli investimenti o la produttività. L’Italia, le Marche, ma anche la nostra città purtroppo hanno perso terreno sulla società, sull’uguaglianza, sulla qualità dell’educazione, sull’inclusione delle donne. Importanti elementi sociali che dobbiamo mettere a posto.

Come Osservatorio permanente comunale infanzia e adolescenza, dobbiamo proporre una Next Generation Italia/Regioni che indaga le ragioni di questo arretramento e propone soluzioni, proposte concrete e dettagliate con stima di costi soprattutto per la governance futura dedicati alle bambine, ai bambini, alle giovane, ai giovani e alle donne, perché sono queste le categorie che hanno sofferto di più negli ultimi trent’anni e dove il divario con l’Europa si è ampliato raggiungendo ormai livelli di guardia.

PROPOSTA NEXT GENERATION ITALIA/REGIONI

ASILI NIDO E CONCILIARIZZAZIONE DELLA VITA LAVORATIVA E FAMILIARE

Nei primi anni di vita di un bambino si sviluppano delle competenze fondamentali per il suo futuro, eppure in Italia, compreso le Marche e San Benedetto del Tronto, solo 1 su 4 va all’asilo nido, metà della Francia e meno dell’obiettivo europeo. Questo divario, uno dei tanti che ci allontana dai nostri vicini, va subito colmato. La maggioranza dei bambini che frequentano l’asilo nido proviene oggi da famiglie del Nord Italia o benestanti. Un paradosso, sapendo che bisogna partire presto proprio per contrastare le disuguaglianze di partenza e garantire le stesse opportunità a tutti.

Per (ri)fare l’Italia, le Regioni e le città (compreso la nostra) ci vogliono tantissimi asili nido. Dobbiamo portare il grado di copertura ad almeno il 60% con un’uguale distribuzione in tutte le regioni. Ricordando che invece oggi il tasso di copertura è appena il 24,7% dei bambini sotto i due anni, ben al di sotto non solo del suo ambizioso obiettivo, ma anche del 33% che la Ue ci aveva raccomandato di raggiungere nell’ormai remoto 2010.

Dobbiamo fare riferimento al fisco come strumento redistributivo che consente di fornire servizi pubblici che a loro volta danno possibilità simili a tutti. Ed è proprio quello che deve accade con gli asili nido. Mai sentito un politico che proclami che ci vogliono meno asili nido. Ma allora perché non si sono fatti e non si fanno? Perché per essere eletti i politici hanno trovato più conveniente promettere Quota 100 invece che più asili nido. E questo dipende da motivi demografici in un Paese dove, anche elettoralmente, i vecchi pesano più dei giovani.

La proposta NEXT GENERATION ITALIA/REGIONI

Si tratta del più massiccio investimento mai strutturato su questi temi: 35 miliardi per riportare l’Italia, le Regioni e le città (compresa la nostra) tra i grandi Paesi europei.

Al tal proposito, si propone di rimettere al centro dell’attenzione della nostra Regione,  le prime fasi della vita educativa dei minori e degli adolescenti, attraverso un sostanzioso aumento delle strutture per la prima infanzia passando dall’attuale copertura di un bambino su quattro a un bambino su due in quattro anni; migliorare la qualità dei servizi, ampliando il numero di laureati che può insegnare al nido; stimolare la domanda di servizi alla prima infanzia, rendendo il nido gratuito per la maggioranza degli italiani meno ambienti. 

In Italia, nelle Regione e quindi nelle Marche, ci sono oltre due milioni i giovani tra i 16 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, mentre la maggioranza di quelli che lavorano rimangono ai margini di un mercato del lavoro che li sottopaga e li precarizza. Sono conosciuti come Neet (acronimo inglese ‘Neither in Employment or in Education or Training’). Una condizione, al di là dell’anglicismo, non consente loro di progettare una vita.

Far ripartire coloro che sono Neet già oggi, si propone un investimento straordinario per la loro autonomia economica e per la loro formazione, dando finalmente accesso a quelle opportunità di cui sono stati privati.  Allo stesso tempo dobbiamo evitare che i giovani di domani diventino Neet garantendo loro un’educazione di qualità e formativa per il lavoro. Per questo, pensiamo a numerosi interventi sulla scuola. Dalla riforma del calendario scolastico, alla formazione degli insegnanti, il potenziamento del servizio di mense, il tempo lungo e altre misure per contrastare la piaga della dispersione scolastica.

Inoltre proporre di rimettere al centro dell’attenzione dello Stato, delle Regioni e quindi delle  Marche e del Comune di San Benedetto del Tronto le prime fasi della vita educativa dei bambini, attraverso un sostanzioso aumento delle strutture per la prima infanzia passando dall’attuale copertura di un bambino su quattro a un bambino su due in quattro anni; migliorare la qualità dei servizi, ampliando il numero di laureati che possono insegnare al nido; stimolare la domanda di servizi alla prima infanzia, rendendo il nido gratuito per la maggioranza degli italiani meno ambienti.

Nello stesso tempo dobbiamo evitare che i giovani di domani diventino Neet garantendo loro un’educazione di qualità e formativa per il lavoro. Per questo, pensiamo a numerosi interventi sulla scuola. Dalla riforma del calendario scolastico, alla formazione degli insegnanti, il potenziamento del servizio di mense, il tempo lungo e altre misure per contrastare la piaga della dispersione scolastica.

Quanto alla nostra proposta per le donne, le disparità di genere hanno radici profonde che originano da disuguaglianze sociali e economiche e si riversano in una diseguale distribuzione delle opportunità tra donna e uomo. Poche donne nel mercato del lavoro e poche donne ai vertici. Disuguaglianze di genere che nascono nelle famiglie, maturano durante l’infanzia, si consolidano a scuola, si perpetuano all’università e si cementano nel mercato del lavoro dove il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è pari al 56,5% in Italia, ultimo in Europa.

Servono congedi di genitorialità che equiparino uomo e donna, senza i quali le aziende preferiranno sempre assumere uomini, a parità di competenze, fiscalità differenziata tra donna e uomo, trasparenza obbligatoria nelle retribuzioni, progetti educativi nelle scuole, università e nelle aziende per superare stereotipi di genere, un robusto potenziamento della rete antiviolenza e delle case rifugio e l’introduzione di corsi di educazione sessuale in tutte le scuole pubbliche del territorio italiano.

N.B. Alcuni esempi virtuosi si ritrovano già qualche secolo addietro, impersonati da straordinarie donne imprenditrici. È il caso di Donna Franca Florio, nota per la sua attenzione al sociale. Fu lei a volere che nella Tonnara di Favignana fosse allestito un asilo in cui le donne lavoratrici potevano lasciare in custodia i figli. A distanza di circa 200 anni sono rare le iniziative imprenditoriali simili, né lo Stato riesce a garantire per le madri iscrizioni all’asilo dei figli più piccoli.

 

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