Lettere al Direttore / C’è un altro calcio da raccontare, ora il gol è sull’ app

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Alla fine del viaggio l’uomo solo con il transistor all’orecchio siederà sul muretto accanto al ragazzo solo con gli occhi al cellulare. Staranno entrambi seguendo, a modo loro, una partita di calcio, ma non si riconosceranno. Li dividerà una barriera temporale di sessant’anni: da Tutto il calcio minuto per minuto a quella che sarà la prima trasmissione in streaming della futura stagione su Dazn.

In mezzo: un’evoluzione non solo tecnologica, ma anche sociale. Costume e linguaggio. La gerarchia dei campi e lo spezzatino. La giacca di Castellotti e i senza giacca di Caressa. «Tutto molto bello» e «tutti a prendere un tè». Se il calcio sugli spalti era fusione calda di mondi (il borgataro e il figlio di papà di Vacanze di Natale uniti nella curva della Roma) quello fruito attraverso radio e tv ha determinato un’atomizzazione a cui fanno eccezione soltanto le partite della nazionale nei grandi eventi quadriennali. Per il resto, il divano del tifo è un’immagine che sopravvive in qualche pubblicità, la pandemia ha svuotato il bar e si è, davvero, utenti unici sulla soglia di un futuro, come ogni altro, incerto.

C’era una volta l’uomo con il transistor, fantozziano, quello che portava la radiolina alla gita familiare o alla convention aziendale, cercando di ascoltare figli e colleghi con un orecchio, Ameri e Ciotti con l’altro. La sua epoca aveva un solo tempo: il secondo. Da lì cominciavano le radiocronache. La sera la tv trasmetteva solo metà di un incontro, per lo più quella finale e decisiva.

Il sogno di quel fruitore dimezzato era vedere tutto. Glielo realizzò parzialmente 90° minuto, con la rivoluzione delle sintesi a tardo pomeriggio che determinava l’orario del rientro da qualunque escursione domenicale. Mancava una sola cosa all’esaudimento totale del desiderio: la diretta. Poter “vedere” tutto il calcio minuto per minuto, volare da un campo all’altro richiamati da un gol, un rigore, un’azione spettacolare.

L’avvento della televisione satellitare fornì quell’occasione a lungo sembrata fantascienza. Accadde anche molto di più: una piccola rivoluzione culturale. Immagini e parole furono improvvisamente sorvegliate. Dal popolare si passò all’aspirazionale. Il narratore si spostò: se prima era vicino al pubblico (uno di noi), divenne prossimo ai personaggi sportivi (uno di loro). Il sogno della visione simultanea che produceva picchi di attenzione pressoché continui venne frantumato dalla spalmatura degli eventi: invece di un mezzo pomeriggio di adrenalina un tranquillo weekend lungo e talora noioso.

Probabilmente lì è cominciato lo stallo del fenomeno, lì si sono fermati gli abbonamenti e chi era nato con le nuove tecnologie ha imboccato altre strade. Ora siamo alla vigilia della fase 4. Dopo radio, tv generalista e tv satellitare è lo streaming a prendersi il racconto della Serie A. Lo cambierà? Ogni fase lo ha fatto, più ancora che per scelta, per necessità.

È difficile pensare che Dazn si limiti a ereditare e replicare la formula Sky. Il pubblico dello streaming ha un’altra educazione, un diverso ritmo. L’esempio più lampante si ha nelle serie Netflix, che rappresentano il modello di riferimento. C’è un’opzione che appare sulla sigla di ogni puntata, un riquadro che propone: “Salta l’intro”. Già la sigla era stata ridotta a un terzo rispetto al passato, ma non bastava. Lo spettatore che fa indigestione di una serie deve poter saltare gli ostacoli, non conoscere vuoti.

Infatti sul primo titolo di coda già appare l’opzione: “Prossimo episodio”. È la velocità contemporanea, l’elettrocardiogramma di un atleta sotto sforzo continuo. La diretta di una partita soffre di parentesi, basti pensare all’attesa della decisione al Var. Oltre cento minuti effettivi sono un investimento notevole per chi sente di avere letteralmente in mano un oceano di possibilità.

Per questo tanti, non solo nativi digitali, privilegiano gli highlights all’intera partita. Molte emittenti all’estero già riempiono la telecronaca con sottotesti, pop up, immagini d’altro genere. La resistenza di chi cede loro il prodotto viene meno di fronte al rischio di perdere un pubblico con nuove esigenze. Per le ultime generazioni (ma non solo) conta più il gol della diretta.

Al vuoto della suspense che precede l’esito preferiscono la continuità dell’emozione: una rovesciata di Ibra, una parata sulla linea di Handanovic, un assurdo autogol, la bestemmia dell’allenatore, il presidente che si mangia la sciarpa, uno dopo l’altro, senza respiro.

Sarà un’impresa innovare il racconto del calcio, ma l’impressione è che a doversi adeguare sarà il calcio stesso, modificando la propria sceneggiatura, rendendo tutto più rapido e credibile, come fosse un film d’azione. Quale? Mission impossible. Eppure compiuta.

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