Lettere al Direttore / Cronaca di un ritorno (possibile) alla normalità

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Gentile direttore, all’inizio si fa capoccella piano piano. Non sei abituato alla luce dopo un anno oramai. I cauti incontri, distanziati e con mascherina, hanno trasformato l’isolamento in abitudine di vita. Gli unici contatti sono separati dallo schermo del computer o del telefono. Poi il primo vaccino, ancora cautela, il secondo e la sensazione della conquista della libertà. Quantomeno ho fatto qualcosa per battermi contro chi ci ha privato degli affetti, della socialità anche lavorativa (anche se lo smart working ha il suo perché se alternato alla presenza).

Lorenzo, diciottenne mio nipote, mi parlava spesso dello strappo violento che aveva provocato sui ragazzi l’assenza dell’altro. La mancanza della scuola. Come tutti sappiamo. “Vaccinano i 17enni per poter tornare a scuola a prepararsi per la maturità.” Ha detto, lo sguardo sorridente, con un sorriso che viene da dentro. La campagna di vaccinazione era già avanzata, e la popolazione più anziana era stata tutta messa in sicurezza.

La riapertura è stata lenta, cauta. Ogni settimana si sono riattivate categorie ormai in letargo. E le strade sono tornate ad essere piene. Anche le spiagge. Il primo ritorno fu ad un compleanno di un’amica. Improvvisamente ho avuto la sensazione di essere risvegliato da un sogno. Quattordici persone intorno a un tavolo che festeggiavano un’amica con la gamba rotta. Che chiacchieravano amabilmente.

La prima riunione sociale rilassata dopo una vita. E si era di nuovo capaci di trasferirsi affetto, chiacchiere frivole. Ogni volta, i primi tempi c’era un filo di commozione e tanta cautela. Finestre aperte ma un allegro cinguettio. “Un compleanno che ricorderemo per sempre”, abbiamo esclamato tutte infilandoci la mascherina per uscire.

Una sera tornando a casa mi sono fermato davanti a una nota salumeria per chiedere della pancetta per fare una carbonara. C’era un signore fuori con dei bambini. Sentendomi parlare col negoziante, mi si avvicina e sussurra “io sono vaccinato due volte e lei?” “io una volta” rispondo e lui felice con la sua mascherina mi chiede consigli sul menu, cerca cose davvero buone e ci salutiamo felici di fare parte della medesima corrente di pensiero: “W la scienza”.

Un altro passo importante verso la riconquista della vita condivisa è stata l’anteprima della riapertura del Museo delle Anfore con aggiunta degli scavi romani al Paese Alto. La visita era organizzata per una importante associazione di amici dell’arte. Eravamo una quarantina, non conoscevo nessuno ma ero affascinato dal ritorno alla cultura condivisa, ma soprattutto dalla gioia dei presenti. Poter fare una visita con la curatrice, in questo anno di pandemia ci eravamo abituati a guardare persino le mostre su FB.

Forse il momento di rottura è stato con la riapertura al pubblico dei ristoranti la sera. Eravamo abituati, da più di 8 mesi, alla sola possibilità di asporto. Non più sedute conviviali intorno a del buon cibo e una bottiglia di vino ma carbonari incontri in case private con cibo ordinato in pochissimi a distanza e con finestra aperta.

Le strade e il bellissimo lungomare di San Benedetto la sera si rianimano. Finito il lockdown, ma soprattutto lentamente nell’immaginario collettivo si fa strada il pensiero che forse, potremmo aver sconfitto il “Corona virus”?

Nessuno osa dirlo continuiamo a camminare per le strade con la mascherina ma di fatto la vita si riappropria di noi. I pub sono pieni di ragazzi, ballano, cantano, bevono, si abbracciano. Non temono più di contagiare ed ammazzare i nonni o i genitori. Gli anziani sono vaccinati! Sembrano dei reduci di una guerra che solo un’arma ha potuto combattere: la solitudine e l’isolamento.

“Sono aperto da 30 anni, mai nella storia della mia attività ho lavorato così tanto.” Ovunque si sente questo refrain. Come se l’astinenza così lunga avesse spinto la gente a uscire, acquistare, consumare, divertirsi. Tornare in palestra, poi al cinema, a teatro. Un’unica domanda all’ingresso: Hai il passaporto verde? Non c’è legge che ti obblighi a vaccinarti né che impedisca l’accesso ai non vaccinati, ma c’è un non detto, di autodifesa: chiunque entri in un luogo chiuso vuole essere certo che siano tutti coperti dalla vaccinazione. Nessuno vuole correre rischi e soprattutto nessuno vuole tornare indietro. Le palestre fanno lezione a quelli senza passaporto verde all’esterno, i ristoranti, se hanno posto li fanno sedere fuori.

Cinema, teatri, centri commerciali è tutto preso d’assalto. Si torna alla vita pre Covid, con cautela, ancora con le mascherine al chiuso, ma con una corrente di energia solidale, con commozione si torna a quel passato che ci era sembrato oramai il retaggio di un’altra epoca. Mai avrei pensato che avrei provato commozione in un centro commerciale affollato (odio i centri commerciali, affollati poi non ne parliamo) né che avrei pianto sedendomi su una comoda poltroncina di fronte al grande schermo cinematografico, mentre sfiorando il braccio di un amico mi chiedevo se era realtà o un sogno.

Ci siamo chiesti se e come avremmo ricominciato. Ci siamo detti che probabilmente non sarebbe stato più come prima. E la commovente e gioiosa sorpresa è che abbiamo ritrovato le nostre abitudini del passato e ci siamo rientrati affamati e bramosi di riprenderci tutto. Ce lo stiamo riprendendo con cautela, anche se con le ultime feste ebraiche il vaccino è stato messo a dura prova dall’euforia.

Nonostante questo i numeri di contagi, malati gravi e morti continuano a scendere. Incrociamo le dita e ringraziamo la scienza. Con la speranza che gli Stati possano presto ottenere i vaccini per riportare la popolazione alla vita. Perché da quello che viviamo qua si può dire che c’è una luce in fondo al tunnel grazie all’arma che la scienza ci ha fornito, per batterci contro l’invisibile nemico che ci impediva di rapportarci con gli altri.

Tranquilli non ci si abitua al sonno della socialità affettiva, né a quello culturale, basta riattaccare la spina e saremo in grado di riprendere a camminare, all’inizio con cautela, ma poi con una gioia infinita. Come sta succedendo qui nella Riviera delle Palme.

Dunque torna il tempo al futuro che fu il tempo grammaticale del Novecento, torna il sol dell’avvenire e si chiama Covid Free. La città gioiello della fantascienza e la città ideale dell’utopia, la Città del Sole di Tommaso Campanella e la Città Futura di Gramsci oggi è la città senza tamponi e autocertificazioni.

L’idealismo è la vita in zona bianca: i bar pieni e le feste di notte con i cieli immensi attraversati dai piccolissimi aeroplani, i corpi che si toccano senza più la diffidenza che allontana, ma con la confidenza che avvicina, le adunate nelle piazze, la folla accaldata, funerali stretti stretti nel dolore e matrimoni stretti stretti nella gioia, l’assalto ai grandi magazzini nel primo giorno degli sconti.

Accadrà, succederà, cambierà: il covid free ha rimpiazzato l’Eden e l’Eldorado, l’Atlantide inabissata e la Camelot di re Artù, il Paese della Cuccagna e il Paradiso di Dante, tutte le vecchie ideologie del secolo breve, la comune e il socialismo, il comunismo e il festival di Woodstock. Oggi la libertà è la bocca senza mascherina, “poveri ma sani” ha sostituito il sogno italiano dei poveri ma belli. È vero che stiamo aspettando intanto il 26 aprile, fissato dal governo come nuova data della liberazione, ma è fuori dal calendario che viaggia la Grande Speranza.

La data del 26 aprile non ci arriva con la sferzata di energia dell’ora X, ma con l’indolenza del rimando, del prendere tempo, con il torpore del peggio. Quella data obbligata, 26 aprile, è il segnale che la pena inflitta all’Italia dal virus non finirà, che siamo perciò condannati al rinvio, e che non c’è ancora, nel nostro almanacco sentimentale, la promessa di una ripresa certa, il giorno della speranza come segno forte che l’Italia tornerà viva.

L’alternanza di lockdown e riaperture, le fasce che cambiano colore, il coprifuoco spostato d’orario danno il ritmo a una vita tornata all’inseguimento (ricordate?) dei “domani che cantano”. Altro che Armata Rossa e Lunga Marcia di Mao, stavolta la salvezza, o meglio “la soluzione all’enigma della storia” si chiama Covid free. Vita, salute, identità, economia, lavoro, scuola, reddito, tutto è sospeso in attesa del Covid free che forse non arriverà mai, ma come tutte le utopie fa andare avanti la storia.

E pensate alla politica italiana: più del governissimo, del compromesso storico e della solidarietà nazionale, il governo Draghi può contare su una maggioranza che non si era mai vista. Destra e sinistra hanno scelto di mettersi tra parentesi e l’Italia, che è il paese più litigioso del mondo, come nell’età dell’oro dei poeti, come nella Repubblica di Platone, si è unita attorno a un tema solo, a un’idea sola, un sogno, l’ultima utopia: la guarigione. Tra vaccini e varianti, tamponi e Big Pharma, la guarigione è, direbbe Sciascia, solo un mutamento delle attitudini davanti alla morte, è “la medicalizzazione della vita”.

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