Lettere al Direttore / FESTIVAL 0/100 – RETI DI CURA, PANDEMIA ED EDUCAZIONE NELLA COMUNITÀ EDUCANTE

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Egregio direttoresono stato invitato dalla dott.ssa M. Simona Marconi Coordinatrice ATS21 del Comune di San Benedetto Tronto, alla Palazzina Azzurra, in qualità di coordinatore dell’Osservatorio Permanente infanzia e adolescenza del Comune di San Benedetto del Trontoa partecipare al “FESTIVAL 0/100 – RETI DI CURA”, CON UMBERTO GALIMBERTI SU “PANDEMIA ED EDUCAZIONE NELLA COMUNITÀ EDUCANTE”. 

Umberto Galimberti, intellettuale importante, sotto la pioggia, con interessi di studio ragguardevoli, ha spaziato dalla psichiatria alla psicanalisi, dall’antropologia culturale alla filosofia morale e della storia, dal giornalismo (ha collaborato con “Il sole 24 ore, con la rubrica Galimberti risponde su D di Repubblica) alla sociologia (famosi almeno due sue volumi, tradotti in più lingue: L’ospite inquietante. I giovani e il nichilismo, Feltrinelli 2007 e I Miti del nostro tempo, 2009, La parola ai giovani Feltrinelli 2018).

Galimberti ha spaziato dalla famiglia alla scuola, dalle pubbliche istituzioni, alla società civile, le quali, non sanno più rispondere a tali emergenze psicologiche, culturali, educative. Insomma siamo al tramonto dell’Occidente. Ha parlato della figura del professore che si è svalutata; ha perso in autorevolezza e riconoscimento sociale. Ha parlato dei giovani, i quali non sanno perché stanno male, ma vivono male. Delle tante cause in cui risiede l’impossibilità di nominare il loro disagio, nell’angosciante mancanza di parole e nella dispersione del loro tempo proprio nella fase di maggiore esplosione emotiva, erotica e creativa.

Tuttavia Galimberti non ha parlato del libro “L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani”, in cui descriveva il disagio giovanile da imputare, a suo parere, non tanto alle crisi psicologiche a sfondo esistenziale che caratterizzano l’adolescenza e la giovinezza; quanto a una crisi da lui definita “culturale”, poiché il futuro che la cultura di allora prospettava ai giovani non era una promessa, ma qualcosa di imprevedibile, incapace di retroagire come motivazione a sostegno del proprio impegno nella vita.

A distanza di anni cos’è cambiato di quell’atmosfera che Galimberti aveva definito “nichilista”? Non granché, fatta eccezione per una percentuale forse non piccola di giovani, che sono passati dal nichilismo passivo della rassegnazione al nichilismo attivo di chi non misconosce e non rimuove l’atmosfera pesante del nichilismo, senza scopo e senza perché, ma non si rassegna. E dopo un confronto serrato con la realtà, si promuove in tutte le direzioni, nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni.

E poco ha parlato del libro La parola ai giovani nel quale raccoglie la voce delle ragazze e dei ragazzi, i quali hanno un gran bisogno di essere ascoltati per poter dire quelle cose che tacciono ai genitori e agli insegnanti, poiché temono di conoscerne già le risposte, che avvertono lontane dalle loro inquietudini, dalle loro ansie e dai loro problemi.

Al nichilismo passivo della rassegnazione, non sono pochi i giovani che sostituiscono il nichilismo attivo di chi, prendendo le mosse proprio da quel desolante scenario, e non da consolanti speranze o inutili attese, inventa il proprio futuro.

Come coordinatore dell’osservatorio avevo preparato un breve intervento sull’argomento che con la pioggia imperante non ho potuto leggere. Qui di seguito, ecco il testo.

La pandemia scoppiata a causa del Covid-19, ha improvvisamente modificato i destini di milioni di individui nel mondo, tutti uniti dalle stesse minacce: nucleare, ecologica e, oggi, sanitaria. Per affrontare la sfida e accogliere il cambiamento che questo virus sta portando nelle vite delle persone, nella società e, in generale, nell’intero pianeta, occorre ripartire dall’idea di un nuovo progetto per minori, adolescenti, cittadine e cittadini che sia capace di accogliere il cambiamento, dunque di rapportarsi con ciò che non conosce, attraverso l’auto-spiazzamento, la messa in discussione di se stesso, l’autocritica e l’auto-riflessione, ma anche attraverso la capacità di superare il nostro bisogno di certezze e rassicurazioni.

In questa cornice, la pedagogia dell’emergenza potrebbe ritagliarsi un ruolo centrale, oltre che avere un proprio spazio di agentività, così come l’educazione e la formazione possono contribuire a portare a compimento una riforma di questo tipo e di tale portata, educando gli individui al rapporto con l’ignoto, la cui presenza è all’origine stessa della complessità e delle sue ineludibili conseguenze.

La pandemia causata dal virus COVID-19 ha obbligato la riduzione delle presenze delle bambine e dei bambini negli asili nido (rapporto 1 su quattro), la chiusura di scuole di ogni ordine e grado, università, palestre, campi sportivi, piscine, studi di danza e fitness, parchi e campi da gioco.

 Per gli individui di ogni età non è stato possibile partecipare alle normali attività motorie o sportive al di fuori delle rispettive abitazioni. In tali condizioni, bambini e adolescenti sono stati meno attivi fisicamente, hanno trascorso periodi più lunghi dinanzi al pc, tablet, TV, con conseguente riduzione dei livelli di attività fisica, aumento di peso e diminuzione delle prestazioni motorie, acquisendo abitudini sonno-veglia irregolari e abitudini alimentari non corrette.

Le scuole di ogni ordine e grado durante la quarantena hanno interrotto ogni attività in presenza e proseguito le attività formative attraverso la didattica a distanza, ma per ogni disciplina la relazione educativa e le modalità di partecipazione sono state diverse. Obiettivo del contributo è analizzare le principali problematiche per la didattica delle attività motorie e sportive nella scuola, individuando come si è svolta la pratica dell’alfabetizzazione motoria nel periodo della pandemia e quali sono state le ricadute sul curricolo.

Quali potrebbero essere gli ambiti disciplinari ed i contenuti da sviluppare durante la didattica a distanza? Come promuovere le competenze motorie? L’educazione fisica nella scuola primaria e secondaria è stata la disciplina che ha risentito, forse, più di ogni altra della mancanza di esperienze motorie strutturate e, soprattutto di relazioni interpersonali.

La terribile pandemia iniziata nel 2019 ha offerto un’imprevista e paradossale opportunità per accorgersi del senso della scuola e per interrogarsi sul suo futuro. In mezzo a tante difficoltà, è stata l’occasione per un risveglio della vita scolastica, per far emergere nuovamente le sue dimensioni essenziali e per porre in atto numerosi tentativi di creatività didattica. Tale esperienza ci suggerisce alcune indicazioni sul destino della scuola, in un’epoca che segna il declino irreversibile di un modello di istruzione centralistico di stampo ottocentesco.

Vi è chi pensa sia necessario superare la scuola, per realizzare (in forme diverse) una decisa descolarizzazione; chi invece pensa ad un ulteriore ampliamento dell’offerta scolastica, andando nel senso della iperscolarizzazione. Personalmente penso che abbiamo bisogno, invece, di pensare in maniera equilibrata il rapporto tra il permanente compito della scuola e l’innovazione scolastica, per generare una intelligente neoscolarizzazione; riconoscendo che l’istruzione è una via d’uscita dalla povertà, l’Osservatorio permanente comunale infanzia e adolescenza di San Benedetto del Tronto e altre organizzazioni hanno fatto progressi significativi nel promuovere l’accesso all’apprendimento delle bambine, bambini, ragazze e ragazzi del nostro territorio.

Ora, la pandemia COVID-19 minaccia la perdita di tanti progressi realizzati finora. Secondo le Nazioni Unite, oltre il 91% degli studenti di tutto il mondo è stato colpito dalla chiusura temporanea delle scuole. Ad aprile, quasi 1,6 miliardi di giovani studenti hanno abbandonato la scuola.

Come osservatorio temiamo che la (ri)chiusura delle scuole e la perdita del reddito familiare possano tenere i bambini fuori dalla scuola a tempo indeterminato. Abbiamo lavorato tanto per far entrare bambine e bambini a scuola, per farli iscrivere e farli restare nelle aule, questo riporterà indietro di anni questi sforzi. Alcuni genitori poveri già titubanti a mandare i loro figli a scuola non faranno altro che alzare le mani e non mandarli.

Costoro stanno letteralmente morendo di fame e hanno bisogno dei soldi che i loro figli possono portare a casa se vanno a lavorare. Pertanto, molti bambini sono ad alto rischio di non ritornare più a scuola. Questa è un’enorme preoccupazione per lo staff dell’Osservatorio Permanente infanzia e adolescenza della nostra città. 

L’educazione non è un compito facile

Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU nel progetto per la creazione di un mondo più giusto, ha indicato come quarto obiettivo “l’istruzione di qualità”. Uno di questi obiettivi è garantire che entro il 2030 tutti i bambini abbiano i mezzi per completare “un’istruzione primaria e secondaria gratuita, equa e di qualità”.

Questo è un obiettivo enorme. Anche nei periodi migliori, educare i bambini è molto più complesso che farli entrare a scuola. Gli insegnanti sono regolarmente formati? I bambini hanno accesso a un’alimentazione adeguata? Sono fisicamente sani e in grado di imparare? La scuola dispone di servizi igienici adeguati? Esiste un modo sicuro e affidabile per gli insegnanti e i bambini di andare a scuola? Ci sono problemi a casa? I genitori possono aiutare a fare i compiti? Il bisogno di reddito della famiglia comporta che lo studente vada a lavorare invece di andare a scuola? La chiusura della scuola, la perdita di posti di lavoro e la necessità del distanziamento fisico hanno complicato ulteriormente le cose?

Le trasformazioni in atto nella nostra società globale, mediate dal digitale nell’attuale drammatica situazione pandemica, spingono ad una riflessione sulla possibilità di costruire un nuovo paradigma educativo. Concetti come libertà, benessere, educazione e cittadinanza sono profondamente modificati da un vivere sempre connessi in equilibrio tra virtualità e realtà, tra analogico e digitale.

Ripensare queste categorie nella società globale e digitale al tempo della Pandemia significa individuare ed elaborare nuovi modelli di insegnamento-apprendimento in contesti formali, non formali ed informali. Quindi, quale sfida educativa deve affrontare l’insegnante del XXI secolo in questa nuova situazione? Pensiamoci bene e diamo delle risposte!!!

Commenti

commenti

Articoli Correlati

Loading...