Lettere al Direttore / I disegni dei bambini nell’ Hub di Avezzano

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Gentile direttore, mentre i genitori vengono vaccinati, i bambini disegnano: tanti cuori e tante case, quelle lasciate in fretta e furia con la bandiera afghana, quelle che immaginano per la nuova vita, con il tricolore sul tetto. «Abbiamo lasciato il nostro Paese, amo l’Afghanistan ma sfortunatamente i talebani sono venuti nelle nostre case e non possiamo continuare la nostra vita qui», il pensiero di Shila, 10 anni appena.

Una dura lezione per l’ Occidente 

Ho pensato a lungo a quello che sta accadendo in questi giorni in Afghanistan e credo che sia opportuno ricordare nelle prime battute la storia di Alessandro Magno. È molto esplicativa. È quella di un giovanissimo condottiero, diventato un modello di gloria e di abilità degne di essere tramandate nei secoli. Alessandro aveva ereditato dal padre un regno e un esercito di dimensioni ridotte ma di enorme capacità combattiva e in pochi anni alla guida di queste risorse limitate è riuscito a costruire un impero sconfinato che si estendeva dall’Adriatico all’India.

La sua vita durò poco e con essa anche l’unità delle sue conquiste, ma la civiltà forgiata dalla contaminazione di popoli che Alessandro aveva riunito ha cambiato il volto del pianeta.

Le tracce del suo dominio sono rimaste anche in Afghanistan, occupato dalla sua falange nella marcia trionfale verso Est. Già all’epoca, il Paese era la cerniera tra Oriente e Occidente senza appartenere a nessuno dei due mondi, come cantò Rudyard Kipling in un mirabile poema.

L’epopea di Alessandro il Grande è diventata al tempo stesso una favola. Il suo impero ha esercitato un’influenza ben oltre i confini. Tutto il bacino del Mediterraneo, l’Africa settentrionale fino alla Penisola arabica ne hanno subito il riflesso. Vale la pena di rammentare queste imprese relativamente brevi ed estremamente eroiche di Alessandro perché ci possono aiutare a capire quello che sta accadendo proprio in questi giorni.

Le immagini e le testimonianze che ci arrivano da Kabul e dall’Afghanistan di nuovo in mano ai talebani sono i segnali di una crisi umanitaria e geopolitica destinata a durare nel tempo e ad avere ripercussioni sugli equilibri internazionali, oltre che sulle vite di migliaia di donne, bambini e uomini in fuga dalle repressioni a colpi di “fatwa” già messe in atto dal regime degli studenti coranici. Mentre con fatica i voli militari continuano a decollare dall’inferno dell’aeroporto di Kabul carichi di profughi, molti di più sono quelli che non riescono a partire e si ammassano disperati in cerca di un passaggio per la salvezza.

Afghanistan, il drone dei Pink Floyd

La tecnologia non manca, i costi sarebbero sicuramente inferiori, e di molto, a qualunque operazione militare. Si fa così: si prendono centinaia di migliaia di droni che diffondono musica e si rioccupa l’Afghanistan con quelli. Si sorvolano le città e le valli, e per ogni drone sonoro abbattuto dalla contraerea talebana se me mandano altri due. Si trasforma quel Paese in un immenso auditorium, solo alcune remote pietraie potrebbero essere escluse dalla mappa per garantire anche le macchie di silenzio (senza il silenzio non c’è musica).

Per la playlist c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ovviamente tutto il repertorio di Fawad Andarabi, il folk singer (cantante popolare) afghano ucciso pochi giorni fa dai talebani perché la smettesse di cantare. Musica cinese, mongola, persiana, indiana, africana, perché non si dica che l’Occidente vuole imporre se stesso, cosa tra l’altro abbastanza vera. Poi Beethoven, Vivaldi e Mozart a tonnellate, la lirica, il jazz, il rock, il punk, la dodecafonia (in piccolissime dosi), perfino — ma in località minori — il liscio.

Vedo bene, sopra il comando generale dei talebani, i Pink Floyd (“We don’t need no education”). Uscirebbero pazzi per la rabbia. Nirvana e Clash ovunque, Brel e Brassens, De André, Joni Mitchell, Pavarotti, Mercedes Sosa, il fado, il samba, il tango, la milonga. La cosa più simile alla voce di Dio — la musica — che scende e libera le anime, seduce perfino gli omacci con il mitra a tracolla.

È una cosa che non si farà mai. La lobby delle note, di fronte a quella delle armi, conta meno di zero. Si provvederà a ben altre spese, e i droni, tutti quanti, sono in altre faccende affaccendati. Era solo un sogno. Anche gli afghani, del resto, la musica potranno solo sognarla.

Commenti

commenti

Articoli Correlati

Loading...