Lettere al Direttore / La centralità della scuola non esiste

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Gli italiani sanno che potranno andare dal 18 gennaio sulla neve, ma non sanno invece ancora se potranno mandare i figli a scuola il 7 gennaio. O almeno lo sanno quelli che li hanno più piccoli, fino alle medie a scendere, ma non chi li ha alle superiori. Hanno risposto a questionari di fine anno sul come i propri figli vanno a scuola, se da soli, se accompagnati, se con i mezzi pubblici e si sono anche meravigliati sul perché tali domande non siano state fatte prima dell’inizio della scuola che forse qualche problema in meno avremmo avuto, ma non si può avere tutto.

Sulla scuola incombe l’onda anomala del contagio. Sì, certo, è una priorità, è tornata centrale, come ama dire la ministra Azzolina, anche Conte con la sedia sempre più instabile resta a piè fermo (se avesse evitato la deroga dei due conoscenti per le feste avrebbe preso qualche punto di credibilità in più), si apre si apre, ma con l’aria che c’è intorno a lui sembra più una posizione di bandiera, tanto per. Ma se l’onda si muove, non c’è razionalità che tenga quando si parla di scuola.

Le date di apertura e chiusura, delle feste di Natale e Pasqua sono note, ma nulla si è organizzato prima, dopo, né durante. Ci sono tavoli faticosamente convocati da una settimana, ma si tratta, alla luce di quel che poi viene detto fuori, di pura testimonianza a cui credono solo quelli che alla scuola tengono, nemmeno tutti quelli che ci lavorano. Per dire, il 2 gennaio, l’assessore alla Sanità del Lazio ha chiesto, a mezzo stampa, il rinvio dell’apertura della scuola nella sua Regione, ma non si è presentato al tavolo dove di questo appunto si sarebbe dovuto parlare.

Stravaganza, non l’ultima, di una politica che anche a livello nazionale ha mostrato tutta la storica superficialità quando si parla di cultura ed istruzione. Non ci appartiene, resta affare secondario. Tutti a fare grafici, a discettare ed allarmare sulla pericolosità di riportare tre milioni e mezzo di studenti nelle classi, magari al 50%, senza che mai siano stati forniti dati ufficiali che confermassero queste estrapolazioni, ma per chi deve decidere bastano e avanzano gli accostamenti tra scuola e terza ondata (anche se nelle aule non si infetta nessuno, succede fuori, ma nessuno controlla, fuori, e perché?).

Malgrado la ministra resti per l’apertura il 7 in una intervista al Fatto quotidiano (con il secondo partito della coalizione, il Pd, tiepidissimo ad arroccarsi sulla data, meglio seguire il contagio…), proprio in queste ore alcune Regioni cominciano ad alzare bandiera bianca e a decidere alla spicciolata: il 7 gennaio, proprio no, alcune già spostano la data per le superiori in presenza quasi di un mese.

Sociologi ed educatori scrivono del dramma della scuola non scuola. Pacca sulla spalla e avanti con il bollettino che, a scuola chiusa, si fa allarmante. E a scuola aperta? Ma qualcuno ha mai deciso di conteggiare quanti pendolari si infettano per andare a lavorare o invece ci sono dei sepolcri intoccabili e non monitorabili a prescindere. Per cui il cosiddetto coordinamento di tutte le attività che si muovono sincrone si riduce nel proporre per la scuola orari di ingresso differenziati, qualche bus in più, e per il resto niente.

Al 50% in presenza che poi quando si torna al 75% (beato chi ci crede), si prevede l’apertura per tutti anche il sabato con una classe a turno a casa, dimenticando anche problematiche religiose che a qualcuno, però, sono care. E così i sindacati della scuola si rendono conto che nulla si muove intorno e che invece a prof e presidi viene chiesto tutto (forse troppo) e puntano i piedi (giustamente, boh).

La ministra si infastidisce, promette tracciamenti in tempo reale e risponde in modo notarile sulla possibilità di anticipare le vaccinazioni anti Covid per gli insegnanti. Anche se, in realtà, per la centralità della scuola e dunque per la sua riapertura, i professori dovranno fronteggiare, ben mascherinati, ben distanziati, in aule però poco areate per il freddo, centinaia di ragazzi ogni giorno e quindi qualche giusta rivendicazione la possono anche fare. Ma, ormai, di fronte a chi ha messo a rischio la propria vita negli ospedali e altrove finiscono per passare per i soliti sempre corporativi.

Anche se, la metà del corpo insegnante rientra tra i lavoratori fragili avendo più dei fatidici 55 anni. Per cui, più si sentono lasciati soli e unico baluardo ad uso della demagogia politica, più si arroccano (mica prendiamo gli stipendi dei nostri colleghi tedeschi, mica stiamo nelle scuole francesi, si sente dire). E, così, quando ancora la scuola non è nemmeno riaperta qualcuno ipotizza scioperi generali e quant’altro, subito fatto tacere dai colleghi.

Della scuola, almeno si parla, tanto per. Dei cinema, dei teatri (lasciamo stare le palestre ormai accostate a pericolosi luoghi di perdizione malgrado l’adagio, mens sana in corpore sano… e malgrado abbiano fatto tutto quello che dovevano fare per sanificare) non si occupa quasi più nessuno, poco o nulla anche il ministro del ramo preso da fulgide proiezioni sul suo futuro politico.

Eppure di sacrifici per rendere tutto fruibile i gestori ne avevano fatti tanti e se prima erano riusciti ad aprire (anche se non tutti), domani alla conta ne mancheranno molti di più, alla faccia dei ristori. Poi faremo un bilancio di tutto quello che stiamo perdendo, ma potrebbe essere davvero troppo tardi.

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