Lettere al Direttore / La Chiesa si fa Stato ed entra nel Parlamente italiano

Incontro a Montecitorio. In Parlamento anche una delegazione del Fermano

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Gentile direttore, “Senza voler entrare troppo nel merito della questione il nostro è uno Stato laico, il Parlamento è libero”. Senza voler entrarci troppo, eppure andando dritto al nocciolo della questione sollevata dalla richiesta vaticana di modificare il ddl Zan, con poche, essenziali frasi il premier Mario Draghi rimette ogni attore al proprio posto. Libera Chiesa, sì, ma in libero Stato.

“Il nostro non è confessionale – ha detto nel pomeriggio durante la replica in Aula al Senato in vista del Consiglio europeo di domani e venerdì – il Parlamento è libero di discutere e legiferare. Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa”. A cui si riconosce rispetto. Perché, spiega “la laicità non è indifferenza al fenomeno religioso, è tutela del pluralismo e delle diversità culturali”. Chiude così il cerchio sulla questione. Poi fa un passo indietro: “Questo è il momento del Parlamento, non è il momento del governo”. E ora spazio al dibattito. 

C’è un celebre episodio della vita del “ministro degli esteri” di Pio XI. Quando venne da lui il primo ambasciatore della Spagna franchista presso la S. Sede, si inchinò e togliendosi il cappello gli disse: “Saluto in lei la prima diplomazia al mondo”. “Figurarsi la seconda” fu la risposta.

Quell’ecclesiastico era mons. Domenico Tardini, predecessore nell’ufficio di mons. Paul Gallagher, indirettamente maestro del Segretario di Stato in carica card. Pietro Parolin. Tardini tentava di nascondere con l’autoironia una verità. La diplomazia vaticana era stata la prima a pensare a interessi senza un territorio, ai diritti senza sanzioni, all’economia senza commerci, alla pace senza deterrenza: e dunque era la prima diplomazia al mondo. E, nonostante errori o cadute, lo è ancora.

È dunque pensabile che questa diplomazia abbia consegnato una Nota verbale all’Ambasciata d’Italia contro il ddl Zan che paventa la lesione della “piena libertà” della chiesa e la “piena libertà” dei cattolici tutelate dal concordato Casaroli- Craxi, senza calcolarne le conseguenze? È pensabile che abbia deciso di usare per la prima volta (a nostra conoscenza) la tecnica della nota verbale durante un dibattito parlamentare, per domandare una modifica di un disegno di legge, senza sapere che la risposta politica e diplomatica sarà intrisa di quei principi costituzionali ed europei alla quale cattolici illustri hanno dato apporti enormi?

La risposta è: no. La Chiesa si fa Stato e da potenza a potenza, invocando il Concordato, chiede al governo italiano di fermare il cammino in parlamento della legge contro l’omotransfobia, per poterla correggere. La tensione politica che rendeva incandescente la discussione al Senato sul disegno di legge Zan, già approvato alla Camera a novembre, esplode dunque con un detonatore esterno, in un cortocircuito a cui non avevamo mai assistito.

Siamo davanti a una nota ufficiale di uno Stato straniero, consegnata secondo le più solenni procedure diplomatiche all’ambasciata italiana presso la Santa Sede dal ministro degli Esteri del Vaticano, monsignor Paul Richard Gallagher, a nome della Segreteria di Stato. Il governo della Santa Sede denuncia il rischio di una violazione del Concordato, quindi la possibilità di una crisi che aprirebbe una crepa inaspettata nei rapporti tra Stato e Chiesa, sollecitando proprio per questo il governo italiano a intervenire.

Ma è la mossa stessa del Vaticano, con la sua ingerenza nell’iter di approvazione di una legge in parlamento, che incendia la discussione tra i partiti, squilibrando con il suo peso inconsueto il confronto tra destra e sinistra, e complicando il cammino già accidentato del provvedimento.

Abbiamo visto che nei mesi scorsi la legge Zan si è caricata di significati simbolici, addirittura al di là del suo contenuto e dell’obiettivo di diffondere nel Paese una cultura della tolleranza e della libertà, introducendo il carcere (da uno a quattro anni) per chi istiga alla violenza omofobica, con l’aggravante di discriminazione per i motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.

Sono concetti su cui la destra ha deciso di dare battaglia, con rinvii continui e una valanga di audizioni in commissione. In questo stallo polemico, la Chiesa ha deciso di intervenire muovendo la potestà e l’autorità statale della Santa Sede, che ufficialmente non aveva mai preso posizione sulla procedura di approvazione di una legge, nemmeno ai tempi del divorzio e dell’aborto. La spiegazione è nella nota consegnata al governo attraverso l’ambasciata: nel testo di legge in discussione secondo il Vaticano ci sono contenuti “che riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica dal Concordato”.

La contestazione riguarda la libertà di pensiero, che nel Concordato modificato nel 1984 è riconosciuta quando si garantisce ai cattolici e alle loro organizzazioni “la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. In particolare questo principio, insieme con quello che assicura alla Chiesa “libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, del magistero e del ministero episcopale”, verrebbero messi in discussione – secondo la nota vaticana – dall’articolo 7 della legge Zan che introduce la “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” il 17 maggio, con iniziative e incontri nelle scuole per promuovere il rispetto e l’inclusione e contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze.

Proprio la mancanza di un’esenzione da questo compito per le scuole private cattoliche è citata come una delle ragioni che hanno spinto la Santa Sede a scendere in campo, chiedendo al governo di tener conto delle sue “preoccupazioni”.

La Chiesa dunque per manifestare il suo dissenso dalla legge Zan ricorre al potere mondano, perché la Santa Sede è co-firmataria del patto concordatario, che considera violato. Ma la decisione di muovere lo Stato pontificio per intervenire nel processo legislativo di un Paese sovrano non è di natura procedurale o diplomatica, bensì politica. Si sceglie una iniziativa straordinaria per alzare la posta della partita, portandola nelle mani dei due governi contrapposti, mettendo faccia a faccia il Papa e Draghi, l’Italia e la Santa Sede, lo spirituale e il temporale, in un confronto che per la prima volta chiama in causa da un lato lo spazio d’espressione della religione, dall’altro l’autonomia del parlamento e la sovranità dello Stato, con due diverse interpretazioni del principio di libertà.

Nel merito la nota vaticana non tiene conto dell’articolo 4 della legge Zan, dove una clausola di salvaguardia stabilisce che “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti e opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Lo spazio intellettuale e religioso per esprimere opzioni culturali diverse dalla fattispecie, se non dallo spirito della legge, è dunque garantito: ma com’era prevedibile nella breccia aperta dalla Santa Sede si sono subito infilate le associazioni cattoliche interessate ad estremizzare il confronto e a radicalizzare il tema, come “Pro Vita e Famiglia” che parla di “dittatura ideologica”, di “colonizzazione a senso unico” e addirittura di “imposizione dell’agenda LGBTQIA come religione di Stato”.

Col rischio di mettere il Papa in contraddizione con se stesso quando parla della necessità di difendere i diritti umani “con coraggio e determinazione”, perché “c’è gente di prima, di seconda, di terza classe, e persone considerate scarti”. Ora toccherà a Draghi difendere la laicità dello Stato. Ma il vero nodo è il riconoscimento, da parte della Chiesa, dell’autonomia e dell’indipendenza del processo democratico incardinato nella sovranità dei parlamenti.

Naturalmente i cattolici, le loro organizzazioni, la gerarchia hanno tutto il diritto di giudicare positivamente o negativamente le proposte legislative e politiche, e anche di fare appello alla coscienza dei cittadini in proposito. Ma non esiste un deposito superiore di verità esterna al libero gioco democratico, una riserva concordataria di temi, principi e argomenti nell’antico presupposto che il cattolicesimo sia una sorta di senso comune dell’Italia, una specie di “seconda natura”: per cui i suoi valori possono essere negati solo da leggi innaturali, che in quanto tali devono essere contrastate alla radice.

La Chiesa – intesa come presenza viva nel Paese – deve risolvere il problema del confronto dell’assoluto col relativo, ogni volta che i temi per lei cruciali entrano in parlamento, il luogo della negoziazione, dove tutte le verità sono scritte con la minuscola. La presenza della voce della Chiesa in un dibattito sui principi è un arricchimento per la democrazia.

A patto che si riconosca, tutti, nello Stato la sede dell’incontro tra i diritti e i doveri, e nella libertà del confronto pubblico tra valori diversi, e non altrove, la formazione della coscienza nazionale.

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