Lettere al Direttore / L’Europa siamo noi: notte magica, la passione tricolore

di Tonino Armata

SAN BENEDETTO – Gentile direttore, ore 23.54, l’Inghilterra sbaglia il rigore decisivo e l’Italia si laurea campione d’Europa: gli azzurri possono festeggiare una storica vittoria a Wembley, la conquista del secondo titolo europeo dopo quello ottenuto nel lontano 1968, 53 anni fa. Tensione e paura si sciolgono in un urlo liberatorio in tutte le piazze e le case d’Italia. Milioni di italiani si riversano nelle strade delle grandi città al suono festoso dei clacson, con i caroselli di auto con i finestrini abbassati, le trombe da stadio, le urla.

Una festa che arriva dopo una partita sofferta, iniziata in salita per il gol a sorpresa dell’Inghilterra appena due minuti dopo il fischio di inizio. Poi il pari, la chiusura in attacco, la lotteria dei rigori dove è spuntata la forza del gruppo. Finisce 4 a 3: protagonista assoluto il portiere Gigio Donnarumma, che “salva” la Nazionale ai rigori. “Sapevamo che c’era qualcosa di magico nell’aria da maggio”, urla Chiellini, mentre Bonucci guarda avanti: “Stasera è la sera più bella della mia carriera, ma poi magari sarà ancora più bella quella tra un anno e mezzo”, dice pensando al Mondiale del Qatar.

Il ct Mancini ripensa al passato: “Qui sul campo di Wembley Vialli ed io non eravamo stati fortunati, ma stasera ci siamo ripresi quel che ci era mancato, e si è chiuso un cerchio”. Mattarella, presente allo stadio, si congratula con gli Azzurri: “Grande riconoscenza a Roberto Mancini e ai nostri giocatori: hanno ben rappresentato l’Italia e hanno reso onore allo sport”.

 L’Italia ha trionfato a Wembley e adesso Mattarella sembra Pertini, Mancini Bearzot e Donnarumma Zoff, lui che ha parato due rigori. Nella casa dell’Inghilterra, che perpetua il digiuno dal Mondiale 1966 — l’assordante teatro riempito oltre i limiti consentiti dal Covid — gli azzurri hanno vinto il loro secondo titolo europeo: si somma ai quattro Mondiali, consegna a Mancini un posto nella galleria degli strateghi, con Pozzo, Valcareggi, Bearzot e Lippi, e inorgoglisce il Paese, unificato dal culto del calcio. C’è, nella pagina scritta ieri da questa Nazionale, qualcosa di inedito: un Sessantotto inconscio, più di mezzo secolo dopo l’unico Europeo vinto prima di ieri, proprio nel 1968. La rivoluzione tattica offensivista spazza via ogni luogo comune sull’italiano sparagnino e astuto. 

Come urla l’Italia. Si frantumerebbero anche i vetri delle finestre se non fossero già tutte spalancate per fare entrare aria nuova. Siamo campioni d’Europa! Mortaretti e clacson, piccoli schermi sulle spiagge e una gioia che consola tantissimo dopo tutto quel buio, quelle notti spaventate e silenziose. La Coppa d’argento (otto chili) la alzano le mani di Chiellini. Ma, prima, la abbrancano quelle di Gigio Donnarumma, il giovane gigante barbuto che para due rigori di fila agli inglesi, eternamente sconfitti. Dio consoli la Regina, che di grattacapi ne ha già parecchi.

Eppure sembrava impossibile. Ci sono notti che cominciano al contrario, e poi è così difficile raddrizzarle. Sono bastoni pieni di nodi. Così questa finale tra gli ululati feroci degli inglesi (hanno anche fischiato il nostro inno, forse è l’ora di smetterla con la famosa cultura sportiva britannica), una partita fangosa che manda gli azzurri in svantaggio dopo due minuti scarsi, peggio di così non si può. Anche Mattarella è attonito, mentre un bimbo saltella a due passi da lui: è il principino George, in mezzo a mamma Kate e a papà William. Diluvia. Fuori, ma soprattutto dentro la nostra Nazionale. Chissà da dove è sbucato quel numero 3 bianco, si chiama Shaw e ha preso forma nel cuore della nostra assenza. Dormivamo.

Per lunghi minuti non entriamo in partita e dunque usciamo da noi stessi, da quello che eravamo quasi sempre stati in questo formidabile torneo. Il primo tempo è una pena. Solo un guizzo di Chiesa, campione intermittente ma prezioso, esprime qualcosa di azzurro. Il resto è un girare a vuoto, scollegati e stanchi. Abbiamo un centravanti pietroso in mezzo all’area, e Mancini lo toglierà dopo una cinquantina di minuti per la mossa che aveva in mente da giorni, il cosiddetto “falso nove”: è come creare uno spazio senza riferimenti per l’avversario che infatti comincia a patire, non sapendo come marcare Insigne e come tamponare le altre falle che creano attaccanti d’occasione, non di ruolo: è questa la trama del pareggio, martellato come una lastra prima da Chiellini, poi da Verratti che centra il palo (di testa, lui che è un soldo di cacio), infine da Bonucci, il più anziano marcatore in una finale europea.

È stato un estenuante gioco delle parti, con l’Inghilterra a presidiare lo spazio come un’Italia del passato e con l’Italia a cercarsi il futuro, un guizzo, il viaggio di ritorno verso sé stessa. Mai visto Mancini così arrabbiato. Ha gridato sempre, ha mimato distanze da accorciare e ha sofferto il colpo preso da Jorginho e da Chiesa, purtroppo, nel momento in cui lo juventino sembrava tra i nostri il più inarginabile. Sia l’uno sia l’altro hanno stretto i denti e sono rimasti lì, un poco zoppi sopra quell’erba scivolosa e verdissima. Jorginho c’è riuscito, Chiesa si è dovuto arrendere.

L’Italia non si è impadronita come al solito del centrocampo dov’è mancato soprattutto Barella, richiamato fuori dal cittì. Dovevamo essere i proprietari della palla, l’abbiamo invece consegnata troppo spesso ai bianchi che sono, bisogna dirlo, una squadra magnifica. Meno duttile della nostra, forse, ma più fresca e impeccabile nei movimenti, con Harry Kane a cucirla come un sarto sambenedettese. Il calcio è più semplice di come a volte lo raccontiamo: chi ha miglior qualità, vince. Non sempre ma abbastanza spesso.

Anche gli azzurri ce l’hanno, e sono stati bravi ad esprimerla soprattutto all’inizio del torneo e contro il Belgio, meno contro l’Austria, quasi niente contro la Spagna, e dal 50’ contro gli inglesi. La finale li ha visti in debito di ossigeno, mai però di orgoglio. Hanno spinto la loro partita come un masso da far rotolare in cima alla montagna. Sembravano perduti, senza idea e senza energie, poi però è arrivato il gol di Bonucci che ha rimesso sangue nelle vene di tutti, la prodezza dei due memorabili vecchiacci bianconeri, Leo e Giorgio.

Zoomata su Mancini: un lenzuolo. Quando leva Immobile gli deve gridare di sbrigarsi, perché il centravanti è lento persino nel momento di uscire. Eppure l’Italia è una specie di gatto immortale, vede i fanali del camion sulla statale ma riesce a scansarsi. Il secondo tempo, in teoria un peso maggiore per muscoli e nervi, l’abbiamo invece vissuto ritrovando le cadenze, siamo tornati a voler bene al pallone come quei bambini che non se ne staccano mai, e se lo portano pure a letto.

Zoomata su Mattarella: sorride. Anche Giorgione Chiellini lo aveva fatto nel momento degli inni, occhi chiusi e bocca increspata. Poco prima c’erano stati tifosi barbari, capaci di sputare sul nostro tricolore facendolo a brandelli, poi si sono menati con i poliziotti perché pretendevano di entrare senza biglietto. Un parapiglia che ha tenuto fuori da Wembley anche alcuni parenti dei nostri giocatori, poi tutto si è ricomposto e ha trovato forma, uno scivolo di partita fino ai supplementari e ai rigori, di nuovo, come in semifinale. Un gol di un difensore per parte, la fiducia che lentamente tornava. Ma che immane fatica.

Ora abbiamo un attacco tutto nuovo: Berardi, Bernardeschi e Belotti. Poi uscirà anche Verratti per far posto a Locatelli. Gli azzurri sono cellule che si moltiplicano, i titolari molto più che undici. Il segno di un movimento sportivo finalmente ricco, e tra poco più di un anno ci sono i mondiali. Ma niente conta, adesso, oltre il minuto che ne segue un altro e poi avanti così, è estenuante questo destino dilatato, la sentenza che la corte non si decide a pronunciare.

A questo punto è una tonnara, una gran sarabanda tra gente a pezzi. Noi e loro, sfiniti. Vince chi lo sarà meno nell’attimo fatale, e uno soltanto ne avremo. Gli inglesi buttano dentro Jack Grealish, un mattoide col cerchietto tra i capelli, capace ogni tanto di strane elettricità. Non poche ne possiede Locatelli, un altro bel tipo in quest’Italia liquida, piena di titolari a incastro, intercambiabili come i pezzi del Lego. Ma niente più si sposta fino ai rigori, di nuovo loro, è un marchio sulla pelle. Il bastone pieno di nodi lo raddrizza un ragazzo con la barba, mani grandi, mani senza fine di Gigio Donnarumma. 

P.S. L’ esultanza di Mattarella al gol di Bonucci diventa l’immagine simbolo, una fusione perfetta di gioia e sobrietà del tutto naturale, per nulla provata in allenamento e che diventerà uno dei meme più usati in futuro dal paese che deve rinascere. 

Chi in questi giorni ha fatto il tifo per motivi politici contro l’Italia dovrebbe riflettere sulla propria pochezza e meschinità: ci sono stati articoli che dicevano “Tifo contro l’Italia perché altrimenti vince l’Italia di Draghi”. Ha vinto l’Italia e godiamoci questa pausa di felicità ed euforia dopo tanti mesi di sofferenza. Chi vive gufando, vive male: lasciamoli stare.

Commenti

commenti

Articoli Correlati

Loading...