Marche e grande lirica: arriva la Bohème, ne parliamo con il soprano Serena Allevi

di ALCEO LUCIDI

ASCOLI PICENO – Di nuovo la grande lirica ad Ascoli Piceno e dintorni. Mutuando lo schema delle scorse tre stagioni, che avevano portato in scena le prestigiose produzioni della Butterfly (2015) e del Nabucco (2016), la rete lirica dei teatri marchigiani – a cui da quest’anno si aggiunge la collaborazione con lo storico “Marrucino” di Chieti – presenterà, per i mesi di novembre e dicembre, la Bohème, dramma in quattro atti di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica.

La messinscena è la stessa di quella dello Sferisterio di Macerata, per la regia di Leo Muscato, con la partecipazione della Form, l’Orchestra filarmonica marchigiana, diretta da Matteo Beltrami ed il coro  “Ventidio Basso” di Ascoli – una realtà ormai consolidata – magistralmente diretto dal M° Giovanni Farina.

Si profila un grande successo di pubblico e critica con intrepreti molto giovani ed interessanti ed una serie di appuntamenti imperdibili: il 16 novembre (per le scuole) alle ore 17 e il 18 novembre, alle ore 20.30, in Ascoli, il 26, 27 e 28 novembre a Chieti, il 1 e i 3 dicembre, a partire dalle 20, al “Teatro Fortuna” di Fano e il 6 e 7 dicembre, ore 21, al “Teatro dell’Aquila” di Fano.

Dell’attenzione crescente per la nuova messinscena e degli aspetti tecnici e musicali della Bohème di Puccini, tratta dal romanzo dello scrittore francese Henri Murger Scene della vita di Bohème ed andata in scena per la prima volta a Torino nel 1896, discorriamo con il soprano lirico Serena Allevi, componente del coro del Ventidio Basso e del Teatro “Carlo Felice” di Genova.

Quali sono le innovazioni drammaturgiche e concettuali che la messinscena di Leo Muscato comporta in questa Bohème dal sapore contemporaneo?

Le innovazioni sono molto originali e stimolanti per un cantante. Le scene sono traportate a quasi cento anni di distanza – dalla prima al Regio di Torino del 1 febbraio 1896 – e riadattate alla storia contemporanea: il Sessantotto francese con i suoi eccessi, le sue rivolte. Saremo vestiti in maniera eccedente, debordante, con parrucche, e pantaloni a zampa di elefante. Leo Muscato impianta l’opera laddove vibrano le emozioni dirompenti e rivoluzionarie del XX secolo, senza tradire il ruolo della protagonista, Mimì, ricondotta invece alla tradizione melodrammatica pucciniana, lirica per eccellenza. La grisette, che vive ai margine della società, da operaia, relegata in una soffitta, è la stessa dell’età del compositore, ma mentre la Mimì del regista Leo Muscato patisce delle offese portate dal capitalismo moderno, morendo dei miasmi di una fabbrica, nell’opera ottocentesca pucciniana la protagonista si ammala irreparabilmente di tisi.

Quali sono i passi tecnicamente più difficili per un solista nella Bohème?

 Il momento più intenso, struggente e, al tempo stesso, delicato in termini interpretativi e tecnici, è nel primo atto quando nasce il fraseggio amoroso tra Rodolfo e Mimì. In pochi minuti si racchiude tutto il romanticismo pucciniano, accompagnato da varie insidie tecniche, tra le quali il do di petto del tenore nell’aria celeberrima Che gelida manina (quella, per intenderci, inserita alla fine dal compositore e che fece piangere Puccini, seduto al pianoforte, mentre la scriveva). Un’aria che racchiude tutto: dal dialogato all’espansione lirica finale. Per un soprano il vero scoglio, croce e delizia, è il Si, mi chiamano Mimì. Non ultimo, il duetto Oh soave fanciulla che corona l’amore della giovane coppia.

Puoi parlarci del cast?

I protagonisti Rodolfo e Mimì sono molto giovani e promettenti. Benedetta Torre (Mimì), genovese, è una cantante in forte crescita. Si è formata con Riccardo Muti e, oltre ad avere una voce già a suo agio nei registri medio-alti, si muove anche agevolmente in scena. Azer Zada ha invece origini azere ma si è ben presto trasferito in Italia, dove ha avuto modo di perfezionarsi presso l’Accademia per cantanti lirici del Teatro “Alla scala” di Milano. Barbara Bargnesi (Musetta), definita dalla critica «un soprano dai grandi mezzi musicali», ha già calcato importanti palcoscenici: “Alla Scala”, Festival di Salisburgo, Rossini Opera Festival, “La Fenice” di Venezia, il “San Carlo” di Napoli.

Un parere sulla musica di Puccini?

E’ un compositore geniale che ha anticipato la musica del Novecento: temi, melodie, contaminazioni. Altro non saprei dire tanto mi sembra immensa la portata delle sue intuizioni sotto tutti i punti di vita: orchestrale, scenico, lirico-strumentale. In quest’opera, in particolare, è riuscito a travasare – operazione difficilissima se vi se pensa – l’intenso lirismo, di cui ogni composizione di Puccini è pregna, con delle immagini e dei personaggi quotidiani, semplici, umili nel loro modo di essere e di porsi. Non a caso, il testo di Henri Murger, che ispira la trasposizione dei due librettisti, Illica e Giacosa, si intitola Scene della vita di Bohème. Una collaborazione, quella dei due librettisti con Puccini, non sempre lineare, ma punteggiata da confronti anche aspri, incomprensioni, dispute (tanto da far dire a Giacosa, in una lettera all’editore Ricordi, di volere abbandonare il progetto). Per non parlare della serrata disputa, finita sui maggiori quotidiani nazionali dell’epoca, tra lo stesso Puccini e Leoncavallo, che, proprio in quello periodo, aveva musicato una identica Bohème. Identica nel titolo ma non nei contenuti. Leoncavallo finiva per essere pesantemente melodrammatico. Puccini, al contrario, poeticamente leggero. In breve, all’opera di Leoncavallo mancava una Mimì.

Quale la funzione del coro?

 Nel secondo atto il coro diventa protagonista, perché vi sono delle scene prevalentemente collettive. L’allegra brigata si sposta al caffè Momus, dove ci si diverte, si balla, si brinda. Qui a contare è la tenuta ed il colore d’assieme. In sostanza, il coro si divide in più gruppi che si interfacciano continuamente: un “dialogar cantando”. Poi nel terzo atto la nostra presenza si riduce, pur se nel clima surriscaldato e minaccioso di uno sciopero.

Un’ ultima battuta sulle maestranze dello Sferisterio.

I tecnici vengono sempre citati per ultimi o a margine, anche se, senza il loro prezioso contributo, nulla sarebbe possibile. Si sono rivelati dei professionisti all’altezza delle aspettative (dal suono, ai costumi, alle luci, alla scenografia). Insomma, la fama, acquisita in decenni di produzioni musicali ai più alti livelli, dello Sferisterio di Macerata non si è smentita.

 

 

 

 

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