Monteprandone, la lectio magistralis del filofoso Massimo Cacciari

di Alceo Lucidi

MONTEPRANDONE – Nella bella cornice del Parco delle Rimembranze di Centobuchi, ed il pubblico delle grandi occasioni, il filosofo Massimo Cacciari ha svolto una dissertazione, a mo’ di prolusione, dal “La giustizia in nome de popolo” con il coordinamento dell’avv. Silvio Venieri.

L’intervento de prof. Cacciari, basato sull’ultimo suo saggio scritto a quattro mani con lo storico Paolo Prodi – recentemente scomparso – ed intitolato “Il tramonto delle utopie” per i tipi del Mulino, prendeva le mosse da due fondamentali concetti: la distinzione tra diritto e giustizia e l’evolversi del diritto naturale in diritto positivo.

Per Cacciari la giustizia è un’idea che non può realizzarsi nello specifico contesto dei diritti positivi in quanto tali sempre culturalmente e socialmente marcati. La Giustizia è un concetto kantiano, una forma di categoria morale ed universale a cui ogni ordinamento giuridico ed ogni fare umano deve tendere ed in questa attesa o tensione ideale, in cui il diritto di consuma, esso può aspirare a perfezionarsi, a rendersi più giusto.

Allo stesso modo, la separazione tra la sfera religiosa e quella civile, dopo superamento dei grandi ordini medievali (cosmogonico, teologico e, appunto, giuridico), nella Modernità, ha portato allo slegamento del diritto da ogni forma di investitura o sanzionamento divino (non si dà legge che sia senza l’investitura del monarca come espressone della volontà di Dio in terra), per giungere, grazie all’Illuminismo, alle separazioni dei poteri dei nostri tempi.

Uno stato di diritto riconosce l‘aspirazione di ognuno a perseguire la giustizia, che non coincide necessariamente con quella altrui, anche all’interno di una stessa comunità, e ne facilita la volontà di perseguimento.

Era così – ci dice ancora il filosofo nella sua lectio – nelle società utopiche, tutt’altro che mere astrazioni – da Tommaso Moro con la sua Utopia a Campanella (La città del sole) e Bacone (Atantide) –  ma laboratori di perseguimento del bene comune all’interno di un progetto politico fondato sulla conoscenza scientifica. Utopia che si fa profezia di un ordine da stabilire tra gli uomini in comunità.

Quello stesso ordine che la politica più vicina a noi sembra avere smarrito nel perseguimento di fini personalisti e senza più la tensione verso il miglior governo possibile. Come spiegare altrimenti la corruzione eletta a modus operandi, l’impoverimento culturale e morale della classe dirigente, la mancanza di una ratio di tenacia e lungimiranza, la chiusura della politica in se stessa senza più riferimento alla polis in una generalizzata paralisi decisionale? Non ultimo lo scandalo dei flussi migratori – aggiunge il filosofo – di fronte ai quali l’Europa chiude le porte e gli occhi dopo avere civilizzato per secoli il mondo.

Il prof. Cacciari non dà soluzioni ma dopo il suo intervento, in cui con estrema lucidità riesce, come al solito, a delineare nitidamente il contesto storico, culturale e del pensiero, da cui muove le proprie posizioni, ci lascia con degli interrogativi a cui ognuno di noi deve, nei nuovi spazi di democrazia da riconquistare della post-modernità, dare urgenti risposte.

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