di Alceo Lucidi
SAN BENEDETTO Buona la seconda. La stagione in prosa di San Benedetto è partita nel migliore dei modi. Dopo il successo dell’Ora di ricevimento con Fabrizio Bentivoglio, a calcare la scena del Concordia sono stati Maria Amelia Monti e Paolo Calabresi per Nudi e Crudi, una storia di Alan Bennet, liberamente tradotta e riadattata da Edoardo Erba. La Monti e Calabrese colgono nel segno per bravura, affiatamento, ironia e garbo sulla scena. Soprattutto, nel riuscire a distillare lo spirito di una commedia molto anglosassone per la destabilizzante presenza del Caso.
Due coniugi, uniti, rassicurati da un livello di benessere a prova di fallimenti, pienamente inseriti nel gioco delle regole sociali borghese – lui con la passione per la musica, Mozart, lei con quella per il ricamo – maniacalmente legati alle piccole sicurezza costruite per una vita, si vedono sconvolto il menage famigliare da un furto nel loro appartamento. Ed i ladri non sono clementi, perché portano via tutto (ma proprio tutto), anche la carta igienica per il bagno. Tutto il teatro di cartone dei riti, a noi tanto cari, delle consuetudini coltivate con ostinata meticolosità può, quindi, secondo Bennet, cadere da un momento all’alto e le realtà in cui viviamo immersi – famiglia Ransome compresa – scivolare rovinosamente nel Caos: quella con-fusione primigenia da cui sembriamo tutti provenire e da cui pretendiamo di fuggire costruendoci attorno un muro di illusioni.
Di fronte al sentimento della perdita e della riscoperta di quanto perduto – l’avvocato Ransome riesce, con i suoi buoni uffici, a percepire un lauto assegno di indennizzo per la rapina ed una fattura della ditta di traslochi permette ai due di ritrovare la refurtiva miracolosamente ricomposta e ben conservata in un deposito – opposti però sono le reazioni della coppia. Lei, al senso di vuoto e smarrimento, contrappone speranza, coraggio, la salda, olimpionica ironia di sempre, per vivere le cose con maggiore semplicità. Lui sprofonda nella cupezza e nel malumore, perdendo di vista l’intelligenza del cuore, necessaria per accettare i cambiamenti, anche imprevisti, a cui la vita ci pone di fronte.
Così tra sorrisi, rimproveri, piccole scenate, la commedia scivola via verso un finale nero, drammatico (la morte di Maurice sopravvenuta a seguito di una paralisi dopo avere constato che la sua “roba”, l’idea di un morboso possesso, era stata utilizzata da alcuni perdigiorno nell’hangar dove la refurtiva era depositata).
Una commedia in cui al riso subentra presto la riflessione, grazie anche all’attenta regia di Serena Sinigallia. Anzi, per chiudere con le sue parole «se solo avessimo forza e coraggio per sostenere con garbo la libertà di cui in teoria siamo dotati, forse riusciremmo ad essere veramente più vicini a ciò che siamo».