Il Premium Truentum Paolo Di Mizio di nuovo a San Benedetto per la presentazione del suo ultimo libro

di Alceo Lucidi

SAN BENEDETTO – Ennesimo appuntamento culturale alla Palazzina per la rassegna degli “Incontri con l’autore”. Sotto i riflettori della location sambenedettese il giornalista e scrittore Paolo Di Mizio. Un gradito ritorno, dopo l’assegnazione del prestigioso Premio Truentum nella città rivierasca, lo scorso 11 marzo, essendo Di Mizio di origini sambenedettesi.

Volto storico del giornalismo televisivo, a lui si debbono la nascita della prima rassegna stampa sul piccolo schermo per Canale 5, emittente dove è rimasto fino alla fine della sua lunga ed entusiasmante carriera, e nel 1980, assieme a Maurizio Costanzo, altro primato, la creazione di un telegiornale privato (“Contatto”).

Autore di numerosi reportage, inviato di guerra, talentuoso documentarista, si è occupato dei principali fatti di cronaca italiani (a Di Mizio si deve, tra l’altro, la pubblicazione del testo degli interrogatori delle BR a Roberto Peci). Ha inoltre viaggiato in tutto il mondo come corrispondente, accumulando esperienze, incontrando orrori (come nella sua lunga militanza a Gaza, schiacciata dall’esercito israeliano), maturando speranze e dolori che sono stati filtrate nel libro presentato ieri, giovedì 27 luglio: Teneri Lupi (Capponi editore).

Ad ogni modo – e lo ricorda in primis la prefatrice del volume Giulia Latini Mastrangelo – chi lo scambiasse solo per un diario di viaggio, un dettagliato resoconto di fatti, seppur importanti, una serie di articoli riproposti sull’onda dei ricordi, alla maniera giornalistica, sbaglierebbe.

Di Mizio non intende con Teneri Lupi cedere (o concedersi) unicamente alla tentazione memorialistica, che è tipica di tanti suoi colleghi, bensì costruire un percorso fatto di pensieri e meditazioni, frammisti a scritti in versi o in prosa per creare attorno ai nudi fatti un alone di mistero e letterarietà. Per nobilitare, insomma, lo scarno dettato giornalistico grazie al punto di vista privilegiato del lettore e del poeta (la vera passione adolescenziale, da Di Mizio, del resto, mai nascosta), che a quelle storie, spesso drammatiche, conferisce una carica umana ed emotiva, una cornice morale. Come se Di Mizio cercasse una via – tutta sua – per un riscatto della condizione umana, per una sua seppur labile riabilitazione, fissandola in un’allegoria od una metafora. Anzi, il libro insiste decisamente su questi aspetti ed è intriso di poesia (inizia d’altronde con un’ampia e sintomatica silloge poetica).

D’altronde, era il suo stesso caporedattore – lui giovanissimo giornalista – ad avvertirlo del rischio insito in chi delle parole ha fatto una propria professione di fede («Non ti illudere / scriviamo sulla sabbia. / Che sia con l’inchiostro o con il microfono, / alla fine del giorno / la coda di un’onda cancellerà le nostre parole»).

Nel percorso sinuoso del libro, che come un fiume carsico scava in profondità per poi riaffiorare in superficie, il giornalista di San Benedetto passa in rassegna i volti sfigurati dalle bombe dei bambini palestinesi e l’amore per i genitori (con due toccanti necrologi in versi), il senso della scrittura e l’indicibile barbarie umana che porta gli individui a combattersi senza avere nulla imparato dalla Storia (gli orrori e le sevizie della prigione di Abu Ghraib in Iraq, perpetrati dall’esercito americano verso militari del regime di Saddam Hussein ed inermi civili e denunciati in un rapporto del  Congresso statunitense del dicembre 2014).

Insomma, tutto il campionario di una sofferta, contraddittoria umanità – richiamata dal titolo – accomunando felicemente l’osservazione attenta della realtà circostante, tipica del redattore e la sensibilità interiore, lo scavo psicologico, del letterato, persino, dello scrupoloso ed avveduto traduttore. Se esiste un diario – come precisato giustamente dall’editore nel sottotitolo – è quello di una vita, spesa per gli altri, in prima linea, a raccontare le sublimi bellezze e le vertiginose meschinità del mondo.

VENGO DA UN PAESE DI MARE

Vengo da un paese di mare

ma ho sempre navigato la terra.

I venti dell’Adriatico mi hanno spinto

tra genti e porti.

L’odore di salsedine

non mi ha mai abbandonato.

E ovunque mi hanno seguito

gli odori della ruggine

delle sàrtie cotte dal sale

della nafta esalante dal motore ansimante.

Con animo di marinaio

ho solcato onde

ho sfidato tempeste

ho combattuto mostri del giorno e della notte.

Il mio mare è stato il mondo

così bello così terrificante.

Vengo da un paese di mare

ma ho sempre navigato la terra.

La parte più lunga del viaggio

è compiuta

ma la carta nautica e la bussola

ora non dicono

quante miglia dovrò ancora consumare.

Attendo che il mio vecchio peschereccio

tocchi l’ultimo porto, per riposare.

 

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