Racconto di Marca, due o tre cose sul malocchio

di ANTONIO DE SIGNORIBUS

Una delle forme più inquietanti di superstizione è la paura del malocchio,che è presente in tutto il mondo e che coinvolge qualsiasi ceto sociale. “Ogni tempo e ogni cultura hanno una propria immagine della superstizione, come essa si diversifica in rapporto agli ambienti che la usano nel correre della loro storia. Così, per esempio, nei primi secoli  del Cristianesimo essa venne a significare ciò che restava degli antichi culti pagani… ” ( Alfonso Di Nola, Lo specchio e l’olio, Roma-Bari 1993).

Il malocchio consiste nel maleficio fatto da una persona per mezzo dello sguardo,o meglio per mezzo del potere dello sguardo cattivo. Il tema del malocchio si collega, in qualche modo, a quello della jettatura e a quello dell’Invidia… Di qui, uno dei nomi con i quali gli antichi lo designarono “è invidia che, nella sua composizione etimologica, significa guardare male o contro ( in=contro, video=guardare). Proprio come nel corrispondente termine ebraico qinah, che significa anche gelosia, ed evoca una serie di situazioni negative indotte dallo sguardo geloso e invidioso che porta male, perché attraverso la sua efficacia nefasta, realizza la distruzione del benessere altrui” ( Alfonso Di Nola, op.cit.)

Ci può essere, comunque, anche un malocchio involontario, cioè di persona che porta disgrazia senza che ne abbia piena coscienza.Ebbene,le prime tracce dell’esistenza del malocchio le troviamo in un antico frammento di terracotta,presente al British Museum di Londra, appartenente ai Caldei,popolo di origine aramaica stanziatosi tra la Babilonia e il golfo Persico nel XIV secolo a.C.; è menzionato anche in altri documenti archeologici appartenenti alla cultura Assira. Veniva chiamato Sixul.

Il malocchio lo troviamo,anche,nell’antico Egitto,in papiri datati 1.200 a.C.,nella religione islamica,e in in quella ebraica. Anche nell’antica Grecia e nell’antica Roma se ne trovano tracce consistenti che hanno prodotto danni non indifferenti. Nelle speculazioni erudite, alle quali non ci si può del tutto sottrarre, fascinum dei Latini sarebbe apparentato, secondo una etimologia non del tutto certa, con il greco baskaino baskanon che sono direttamente collegati al malocchio e all’invidia, perché significano mormorare, calunniare, denigrare, invidiare, avversare, augurare male, affascinare con lo sguardo, fare il malocchio.

Il tema del malocchio è talmente ampio che è stato  trattato, con riferimenti precisi, da poeti,scrittori, filosofi ed altri. Ne citerò solo alcuni: Sant’Agostino, Democrito di Abdera,Plutarco,Eliodoro,Cornelio Agrippa,Cicerone,Ovidio,Orazio,Marziale, Catullo,Plinio;e in epoca più vicina: Gerolamo Cardano,Francesco Bacone,Tommaso Campanella, Marsilio Ficino,eccetera. Non scomoderò quelli del nostro tempo. Non si finirebbe più. Nemmeno la psicoanalisi è rimasta a guardare.

Malgrado, infatti,  la notevole divergenza tra la posizione di Freud e quella di Jung, entrambi sembrano concordare sul fatto che le credenze e le politiche connesse al malocchio e alla jettatura, sono radicate in profondità nei percorsi mentali e inconsci dell’uomo. Entrambi sono dell’opinione, come dice G.Jahoda, nel suo Psicologia della superstizione, che la superstizione non sia una cosa del passato, o confinata all’incolto; essa è anzi considerata parte integrante dell’apparato mentale di ciascuno, suscettibile di venire alla superficie in certe circostanze.

Le prove su cui si basarono per le formulazioni teoriche consisterono per lo più di esperienze appartenenti alla storia personale dei pazienti. Ma più di tutto, insistendo sull’elemento emotivo della superstizione, Freud e Jung ci aiutano a comprendere perché, confrontando la persona superstiziosa con informazioni che la contraddicono, non si ottenga quasi mai alcun affetto pratico.

Ieri, come oggi,comunque, la questione è ancora aperta. C’è chi ci crede e chi no. C’è chi si lascia condizionare totalmente, e chi attraversa la questione, senza battere ciglio,identificandola come risultato della superstizione popolare ormai superata dalla cultura e dal progresso scientifico. Anche la nostra regione, come ogni altro luogo del mondo,non era immune dal contagio di questa strana paura. I più esposti,comunque,erano, secondo la cultura popolare, i neonati,perché più fragili ed indifesi. E la frase da dire per non creare sospetto d’invidia, subito dopo un complimento, era questa:’gne nocce”(ovvero “non ti nuoccia”;cioè il complimento non aveva doppi fini).

I sintomi del malocchio? Erano mal di testa   persistente,debolezza,stanchezza,cattivo umore,eccetera,e quando la medicina ufficiale non riusciva a risolvere la “cosa” qualcuno si affidava a quelle persone che avevano “la virtù”,innata o ricevuta,come passaggio di “poteri” da chi non poteva più esercitarla. I riti per togliere il malocchio erano diversi.

Mi limiterò a riferire di due riti essenziali. Il primo veniva fatto con l’olio d’oliva. Si prendeva un piatto pieno d’acqua,poi con la punta del dito mignolo si facevano cadere tre gocce. Se la goccia d’olio si spandeva nel piatto voleva dire che c’era il malocchio; il tutto si ripeteva al massimo tre volte al giorno, e se la goccia continuava ad espandersi si ripeteva il giorno dopo,fin quando non rimaneva intatta nel piatto,ovvero fin quando non era stato sconfitto il male. Se, al contrario, rimaneva immobile nel piatto voleva dire che il malocchio non c’era. Il tutto era infarcito di formule misteriose,magiche,di segni di croce e di preghiere.

Il secondo rito si faceva con il grano. Si gettavano nell’acqua un numero dispari di chicchi di grano,se il chicco scendeva sul fondo del piatto il malocchio era assente, se invece veniva a galla era presente. Per il resto tutto rimaneva identico.

Per evitare il malocchio si adoperavano gli amuleti, che servivano ad allontanare gli influssi negativi. I più efficaci erano le corna,i  coralli,i fiocchi rossi(il rosso è il colore apotropaico per eccellenza), e i “brevi”,ovvero quelle piccole sacche protettive contenenti immagini di santi,della madonna,di foglie di ulivo benedetto,di pezzetti di candela benedetta o altro. Il malocchio,chiaramente,colpiva anche gli animali che erano così importanti per la campagna. E per l’economia contadina.

C’era una donna,si raccontava,che aveva l’occhio cattivo,ma avvisava sempre la gente,perché non voleva fare del male a nessuno,tanto meno agli animali. Una rarità. Quando usciva di casa chiamava sempre il vicinato e diceva: “Mandate via quei tacchini piccoli che scendo giù”. E per concludere due ironiche citazioni sul tema, la prima: “Non è vero ma ci credo” ( Benedetto Croce); la seconda: “Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male” (Eduardo De Filippo).

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