San Benedetto, una due giorni di grande teatro al Concordia con la Venere in pelliccia targata Impacciatore-Malosti

di Alceo Lucidi

SAN BENEDETTO – Se il teatro è una raffinata, a volte, sfuggente commistione di realtà e finzione, di chiari e scuri, di pieni e vuoti, una splendida rappresentazione della vita, a cui, a tratti, anche le nostre vite sfuggono; se è espressione di quello che vorremmo fosse la realtà, lo specchio delle nostre illusioni o delusioni o desideri, allora Venere in pelliccia è una folgorante prova di tale ineludibile verità. Tratto dal romanzo di Leopold Von Sacher Masoch, testo visionario sul rapporto controverso e sempre più ambiguo tra due amanti, Severin Koushenski e Wanda von Dunajev, punteggiato da accenti di puro cinismo erotico (il termine masochismo sembrerebbe prendere spunto proprio dal nome di Von Sacher Masoch, associato a quello di sadismo del più noto marchese De Sade), Venere in pelliccia è il frutto – pregiato verrebbe da aggiungere – dello storico adattamento drammaturgico che del romanzo fece lo statunitense David Ives, classe 1950.

A dispetto delle opinioni contrarie di colleghi e collaboratori circa la riuscita della versione teatrale, testardamente Ives si spinse avanti nel testo, ne rimase avvinto ed irresistibilmente attratto come un insetto nella tela del ragno. Il gioco di specchi, la partita a scacchi della vita riflessa nel suo dramma, il capovolgimento di ruoli, la commistione di brutalità, miseria e sublimità di un amore irrisolto ed impossibile, il doppio di personaggi, assieme carnefici e vittime, protagonisti e spettatori di destini incrociati, rendono quest’opera, in effetti, una potente macchina drammaturgica, oltre che una bomba ad orologeria in termini narrativi (non a caso Roman Polanski nel 2013 lavorò ad una trasposizione cinematografica con lo stesso, identico titolo, pur se pochi forse ricordano l’altro precedente: quello di Massimo Dallaman del 1969, con Laura Antonelli, più volte bloccato dalla censura).

Dunque, nell’attuale bella versione, prodotta da Pierfrancesco Pisani, Parmaconcerti e Teatro Dioniso, in collaborazione con il teatro “Fortuna” di Fano, approdata a San Benedetto, giovedì 30 novembre e venerdì 1 dicembre, dopo un periodo di residenza di riallestimento, salutato dall’amministrazione comunale nel corso della conferenza stampa di giovedì 23 novembre, un regista in crisi (nella pièce, in realtà, lo stesso regista della messinscena Valter Malosti), alla fine di un’estenuante giornata di provini, stanco e deluso, non riesce a trovare un volto per la Vanda Jordan del suo spettacolo. All’improvviso, con improvvido ritardo, si presenta una ragazza di borgata, sboccata e dai modi spicci (una Sabrina Impacciatore teatralmente perfetta), che chiede di essere ascoltata a tutti i costi.

È solo l’inizio di una commedia/dramma degli equivoci. Intanto la donna, una attricetta con esperienze fallimentari, si chiama Vanda Giordano ed ha rielaborato il suo nome in Jordan, lo stesso dell’eroina dell’opera teatrale di Ives. Poi si scopre che, nella realtà, la giovane sfrontata conosce alcuni dettagli, anche intimi, dell’esistenza del regista-personaggio (dice di essere un’amica della fidanzata Ludovica) e che ha, al di là delle apparenze, una perfetta padronanza del copione e del personaggio per il quale si propone.

Con grande magia, tramite un gioco di luci e di musica (quella imponente di Wagner), Malosti fa uscire la Vanda più prosaica da se stessa e la mette nei panni della protagonista come una consumata professionista, così da allestire una costruzione scenica, dal ritmo inesorabile, che amplifica, fino al parossistico finale, la danza della seduzione spinta al godimento perverso e degradante, all’esaltazione e, assieme, all’umiliazione del proprio Sé in una cupo dissolvi irreversibile, in uno scambio continuo di parti (l’uomo che si fa donna sottomessa e viceversa). Il tutto immerso nelle tinte cremisi di una scenografia semplice ma graffiante, di un interno che lascia trasparire l’onda emotiva delle turbolente psicologie in atto.

Nell’ultima parte del foglio di sala distribuito si legge, quasi profeticamente: «Questo testo è la dimostrazione che in teatro con pochissimo si può ottenere moltissimo. Bastano un uomo, una donna e una stanza chiusa e un viaggio nelle nostre profondità più oscure e misteriose può cominciare».

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