
di Martina Oddi
SAN BENEDETTO – Erdogan ha ripreso pieno possesso del potere in Turchia: dopo che il suo scettro cominciava a vacillare sotto i colpi dell’opposizione democratica supportata dai media, ha risposto con la violenza delle armi e ha imposto di nuovo la sua tirannica guida al Paese. Se è vero che la Turchia rurale e fondamentalista lo sostiene, nonostante abbia cercato di accreditarsi come leader illuminato agli occhi del mondo occidentale, in patria attua la più feroce repressione.
Le vittime principali sono coloro che si oppongono alla sua dittatura, e tra essi i più colpiti sono gli intellettuali, dai giornalisti (le redazioni dopo la serie incontrastata di rapimenti sono vuote e nessuno sa che fine hanno fatto coloro che sono stati prelevati dalla polizia) fino ai professori universitari. E ora anche tre operatori sanitari, medici e infermieri, colpevoli di non aver rispettato il coprifuoco prestando soccorso a un bimbo ferito.
Come può evolvere la situazione? C’è da sperare in una evoluzione diplomatica e democratica o la Turchia si candida a diventare il nuovo Iran? Lo chiediamo a Foad Aodi, presidente della comunità araba in Italia.
Come si sta delineando lo scenario politico in Turchia?
“Sicuramente la situazione è complessa: essendo anche un paese mussulmano che dà fastidio a molti paesi europei, non credo che entrerà in Europa: l’Occidente non è pronto a dialogare con il mondo mussulmano, lo rifiuta come se fosse un mostro. In Turchia in particolare, questi elementi cozzano contro il potere di Erdogan: deve aprire alla democrazia, cercare il dialogo interreligioso e con l’Occidente, lasciare parlare i giornalisti se non ha paura di nascondere niente”
Le redazioni dei giornali si stanno svuotando, ora vengono rapiti anche medici e infermieri, che fine fanno?
“Condanniamo il rapimento dei medici in tutto il mondo: sono morti più di 5000 professionisti della sanità dall’inizio della primavera araba, medici perseguitati, aggrediti, ricattati e costretti a curare i terroristi. Nessuno sa che fine fanno”.
La comunità internazionale sta a guardare?
“L‘Unione Europea ha problemi di leadership interna, deve affrontare un’ascesa del populismo che avanza ovunque, si relazione con egoismo rispetto alla politica estera e non cerca il dialogo con i paesi in conflitto. Si limita a rifiutare gli immigrati ma non fa nulla per risolvere i conflitti in Palestina, Libia, Yemen, Afganistan. La Turchia è un ponte strategico tra l’Europa e la Siria: occorre fornire sostegno alla popolazione che soffre, controllare dove vanno a finire i soldi che l’Ue da al governo turco per gestire l’immigrazione. Sono scomparsi bambini e donne, torturati e violentati e poi finiti nel nulla”.
Cosa prevede nel breve periodo? Quale evoluzione a livello sociale?
“Finché non si risolve il nodo della Libia non ci saranno svolte: la Turchia è stata indicata da più parti come sull’orlo di un colpo di stato ma resiste così pure la Siria. Mi auguro che l’Onu e l’Ue con una nuova sensibilità si diano da fare per risolvere i conflitti. Allo stato attuale in Turchia Erdogan deve garantire democrazia per non essere accusato di essere un dittatore”.