
ASCOLI PICENO – Non delude mai, Dardust strappa applausi e apprezzamenti anche nella versione privè che ha voluto per i suoi tanti estimatori concittadini.
Si è esibito nel pomeriggio di sabato 7 maggio nella sala della Libreria Rinascita divenuta oramai il salotto culturale della città. Di qui passano scrittori, filosofi, artisti che possono interagire con un pubblico sempre molto presente e vivace.
Anche il compositore ascolano Dario Faini, in arte Dardust, ha voluto abbracciare idealmente i suoi fans concedendo loro un racconto del suo percorso artistico, della sua esperienza in Islanda per la produzione del suo ultimo album “Birth” e suonando tre brani in versione acustica che meglio si addicevano alla serata.
A moderare l’incontro “Dario Faini aka Dardust”, il giornalista Luca Capponi che ha solleticato la curiosità della platea con domande inerenti la sua capacità compositiva, i suoi progetti, la carriera da songwriter per i più importanti cantanti pop nel panorama italiano.
Due album strumentali: “Seven” e “Birth” che presentiamo oggi. Come hai concepito il primo e quali scelte hai fatto per creare poi “Birth”?
“L’album “Seven” è più cinematico – spiega Dario Faini – ha delle atmosfere anche come scrittura molto più magica, l’eco di una colonna sonora, una magia più infantile e ingenua. “Birth” è stato un disco in cui le due anime, quella classica e quella elettronica le ho volute portare agli estremi e di fatto c’è una divisione: cinque brani slow e cinque brani loud. Stasera noi faremo tre brani slow in acustica. “Seven” rappresenta la forma embrionale di queste due anime, “Birth” è la nascita vera di Dardust, le due anime trovano il loro equilibrio”.
Il primo disco “Seven” è stato registrato completamente a Berlino, “Birth” in Islanda, a Reykjavik
. L’Islanda è stata una scelta legata al panorama musicale nordeuropeo, dal quale tu trai ispirazione, e da una tua ricerca interiore?
“La scena islandese mi ha sempre affascinato tantissimo. Sicuramente la musica dei Sigmur Ross con le atmosfere malinconiche dove il suono amplifica i rumori del silenzio, ha accentuato il mio desiderio di creare qualcosa di mio. Io sono un songwriter e non pensavo, fino a due anni fa, di comporre per me. Poi il contatto con la musica neo-romantica ha risvegliato questo tipo di emotività così intima, ho composto i primi pezzi che ho proposto live e ho constato l’apprezzamento del pubblico. L’energia che hanno saputo darmi le persone mi ha portato ad incidere il mio primo disco e ho scelto Berlino. Per il secondo disco “Birth” ho voluto l’Islanda perché, per me, è il posto più meraviglioso del mondo. Ti trovi in un paesaggio di pianure distese su centinaia di Km senza elementi urbani, lande desolate, un impatto spirituale molto forte di cui te ne rendi conto solo quando torni”.
Nell’album “Birth” mi ha incuriosito il titolo del brano “Slow is the new loud” in cui c’è un invito alla lentezza, alla calma, alla contemplazione.
“La lentezza in un mondo dove la fruizione musicale è velocissima diventa la nuova potenza. Oggi sempre meno ci si sofferma ad ascoltare con calma i testi, analizzare il progetto, a curare il dettaglio. Noi lo facciamo e crediamo che questa lentezza è in realtà una nuova potenza per essere notati e non “skippati”. E si riallaccia all’altro brano “don’t skip”, non “andate oltre” ascoltate fino alla fine perché il bello della traccia arriva alla fine”.
Dario Faini era affiancato dalle sue due colonne portanti: Vanni Casagrande, la visione elettronica e braccio destro fin dagli esordi, e Pietro Cardarelli, light designer e visual artist, l’elemento complementare nella creazione dei brani musicali, come spiega Dardust:
“Ho sempre ritenuto la parte visiva e delle luci una componente fondamentale in un concerto. Per me, non si fa un concerto se non c’è il light designer, se non c’è Pietro”.
“L’idea è molto semplice – spiega Pietro Cardarelli – è quella del viaggio, il pubblico viene accompagnato nel nostro viaggio per viaggiare con noi. Lavorare sulle immagini, sulle luci e sulla musica, in realtà è lavorare su una cosa sola. Durante il live io indosso sempre le cuffie perché voglio avere l’ascolto del brano per trattare le luci e le immagini come un altro strumento musicale che si va ad integrare agli altri presenti. Quindi non dividere, ma far diventare, proiettore video e luci due strumenti musicali che seguono gli altri nella composizione musicale. L’esempio potrebbe essere questo: quando si viaggia in treno, si ascolta con la musica con le cuffiette e si guarda fuori dal finestrino. Il paesaggio che vediamo scorrere diventa una sorta di viedeoclip live della musica che si sta ascoltando in cuffia”.
Dario, hai mai pensato di realizzare una colonna sonora per un genere cinematografico?
“In realtà sì, e mi piacerebbe molto realizzarla per un film Horror.
Parliamo di progetti futuri. Questi primi due album fanno parte di una trilogia che vedrà la conclusione con il tuo prossimo disco che farai a Londra.
“Sì, poi ci sarà Londra, ma prima di chiudere la trilogia faremo un disco in Giappone. Appena finiamo il disco in Giappone, partiremo per Londra”.
Un messaggio per i tanti ragazzi che, come te, sognano una carriera nella musica. Tu hai fatto tanta gavetta, non hai mai mollato. Cosa puoi consigliare ai giovani?
“Non ho mai mollato. Ho sempre accettato le possibilità di lavoro nell’ambito musicale senza ostinarmi solo ad un aspetto. Ho fatto il provino per il musical “La bella e la Bestia”, sono stato assunto e ho dovuto studiare recitazione, ho cantato. Poi sono arrivate le proposte come autore di testi per Irene Grandi e mi sono inserito scrivendo per diversi cantanti. Ora porto avanti un discorso autonomo. Il mio consiglio è di essere diversi, unici. Ricercare nella propria natura, nelle proprie capacità quella unicità che porta a distinguersi da un mondo omologato. E poi l’attenzione per i dettagli che fa sempre la differenza tra due progetti, tra due performers, tra due cantautori. La cura dei dettagli è quell’elemento che si nota nella percezione totale, quando vedi un concerto, quando ascolti una canzone, quando componi un arrangiamento, è quello che fa la differenza”.