Giustizia, diritto e Costituzione, il pensiero di Gherardo Colombo

di Alceo Lucidi

MONTEPRANDONE – Seconda serata del Piceno d’autore nell’affascinante antro del paese alto di Monteprandone: la piazza S. Giacomo. Altro importante incontro-confronto, questa volta con il dott. Gherardo Colombo. Al centro della discussione, animata dal giudice Aldo Manfredi e coordinata dall’avv. Silvio Venieri, i temi della giustizia e del suo funzionamento o malfunzionamento.

Anche nel caso di Colombo a guidare il ragionamento è stato un libro scritto  assieme all’amico e magistrato Piercamillo Davico, con Colombo nel pool della procura milanese di Mani Pulite all’inizio degli anni Novanta (La tua giustizia non è la mia. Dialogo tra due magistrati in perenne disaccordo, Longanesi). Trattasi di una conversazione serrata, appassionata, ed assieme sincera, con punti di vista spesso contrapposti, su questioni più che mai attuali e, anzi, in incessante evoluzione, quali l’uso della pena, l’istituto della detenzione, la corruzione pubblica, il fondamento della Costituzione, la custodia cautelare, la prescrizione, la riforma della custodia cautelare.

D’altronde, il diritto e la giustizia – come per Massimo Cacciari – sono alla base della convivenza civile e determinano il nostro stesso ruolo di cittadini e gli spazi in cui si esercita la nostra libertà. Possiamo dirci realmente liberi o non lesi nella dignità se la corruzione continua ad essere un male endemico che drena risorse ala comunità (i famosi reati dei colletti bianchi in grado di danneggiare centinaia se non migliaia di persone, si veda il caso Parmalat riportato da Colombo).

Se la sanzione è spesso la mera repressione di un delitto, di un’infrazione del codice, piuttosto che un percorso in cui alla punizione si accompagna la riabilitazione, laddove possibile; se l’ordinamento giudiziario è afflitto da mali cronici come la mancanza di risorse, una riforma del sistema costantemente mancante, le tante inefficienze burocratiche (certo attribuibili anche – senza generalizzazioni – a chi quella complessa macchina dovrebbe far funzionare)?

Così tra citazioni colte – Kant, S. Agostino, Rousseau, Foucault – e i tanti spunti di riflessione, calati nel concreto senza astrattismi, si svolge la trattazione a tutto tondo dei due giuristi che ai tanti interrogativi forniscono risposte tutt’altro che canoniche ma creative, originali e – perché no? – provocatorie.

Da un lato il granitico impianto giustizialista del dott. Davico – con lo Stato che deve farsi garante del rispetto delle leggi con tutta l’autorità coercitiva che possiede – e dall’altro la posizione de dott. Colombo che vede nella giustizia un fattore umano e psicologico che, in quanto tale, deve essere forgiato e sostenuto dall’educazione. Non a caso ha abbandonato nel 2007 la magistratura “per dedicarsi a incontri formativi nelle scuole, dialogando negli anni con migliaia di ragazzi sui temi della giustizia e del rispetto delle regole” (si legge sulla quarta di copertina), dopo avere investigato, negli anni Settanta e Ottanta, assieme a giudici istruttori del calibro di Giovanni Falcone e Pier Luigi Vigna, sulla loggia P2, il caso Ambrosoli, i fondi neri del’IRI.

Non solo, ma dalla dissertazione di ieri si capisce anche quanto abbia a cuore quell’articolo 2 della Costituzione – «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» – dove viene fuori il suo senso di giustizia: il rispetto della dignità del libero cittadino, dotato di spirito critico, contro la fatale sottomissione del suddito.

 

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