Grottammare – Medaglia d’onore agli eredi di Giovanni Bruni

Grottammare - Estate 2015, spiagge libere più sicure.

I figli del grottammarese Giovanni Bruni sono stati ricevuti dal Prefetto Graziella Patrizi nel Salone De Carolis della Prefettura di Ascoli Piceno, per la consegna delle Medaglie d’Onore conferite dalla Presidenza della Repubblica agli internati in un campo di lavoro nazista residenti nella provincia di Ascoli Piceno.

La cerimonia è avvenuta nel corso degli eventi legati al settantesimo anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz, lo scorso 27 gennaio, alla presenza del sindaco Enrico Piergallini e del presidente del consiglio comunale di Grottammare Alessandra Biocca

Con l’occasione, Maria, Giovanna e Gabriele ricordano la figura del padre. Un uomo ligio al dovere e rispettoso delle regole. Qualità che gli permisero di trascorrere quasi due anni di prigionia con la speranza e la forza di riuscire a tornare a casa.

Giovanni Bruni partì per la guerra nel settembre del 1942. Tornò a casa per una breve licenza di cinque giorni alla fine di gennaio 1943, in occasione della nascita della figlia Giovanna, e poi Anzio, Nettuno, Savona e Modena furono le sue tappe da soldato fino al maggio 1943, quando di rientro a casa, i tedeschi deviarono il percorso del treno verso Monaco di Baviera, dove fu
imprigionato per 22 mesi. La liberazione avvenne i primi di luglio del 1945.

“Durante la prigionia lavorava in una fabbrica di bossoli per mitragliatrici – racconta la figlia Maria – I mesi invernali erano quelli più duri a trascorrere, tra il freddo e la fame. Per pasto mangiava patate bollite con le bucce, quando andava bene, altrimenti brodo, ma vicino alla prigione c’erano dei campi agricoli e per sopravvivere, col favore della notte, andava a cogliere i porri e li mangiava crudi. Ogni giorno a fine lavoro si guadagnava 3/4 sigarette e alla fine della guerra i tedeschi, prima di fuggire, lo pagarono pure. Un gesto che nostro padre rimarcava sempre. Al rientro portò con sé i soldi”.

Le figlie ricordano quei soldi tedeschi, con i quali giocavano, e la tazza di alluminio che durante la prigionia aveva usato per mangiare e che Giovanni continuò ad utilizzare per diverso tempo, in memoria di ciò che aveva passato, nella consapevolezza che se si era salvato probabilmente era stato grazie alla diligenza e alla correttezza del suo comportamento.

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